dsariflessioni

Just another WordPress.com site

per sostegno e dsa con la lim

per sostegno e dsa con la lim
 
colora la bimba, discrimina i colori
 
 
baby flash di parole
 
 
atlante interattivo delle parole
 
 
 
memory
 
 
Gioco con le parole, tipo paroliamo
 
 
Una raccolta “a tutta Lim”
 

Circolare di marzo e nota di giugno del Ministero sui B.E.S.

CIRCOLARE MINISTERIALE n. 8 Roma, 6 marzo 2013
Prot. 561
Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI
Ai Dirigenti Scolastici
LORO SEDI
Ai Referenti Regionali per la Disabilità / per i DSA
LORO SEDI
Alle Associazioni componenti
l’Osservatorio permanente per l’Integrazione degli alunni con disabilità
LORO SEDI
Alle Associazioni del FONAGS
LORO SEDI
Alle Associazioni del Forum Nazionale degli Studenti
LORO SEDI
Ai Presidenti delle Consulte Provinciali degli Studenti
LORO SEDI
Oggetto: Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni
educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Indicazioni
operative
Il 27 dicembre scorso è stata firmata dall’On.le Ministro l’unita Direttiva recante Strumenti
d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione
scolastica, che delinea e precisa la strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare
appieno il diritto all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà. La
Direttiva ridefinisce e completa il tradizionale approccio all’integrazione scolastica, basato sulla
certificazione della disabilità, estendendo il campo di intervento e di responsabilità di tutta la Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione
2
comunità educante all’intera area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), comprendente: “svantaggio
sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà
derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture
diverse”.
La Direttiva estende pertanto a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione
dell’apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi enunciati dalla Legge 53/2003.
Fermo restando l’obbligo di presentazione delle certificazioni per l’esercizio dei diritti
conseguenti alle situazioni di disabilità e di DSA, è compito doveroso dei Consigli di classe o dei
teams dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria
l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o
dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.
Strumento privilegiato è il percorso individualizzato e personalizzato, redatto in un Piano
Didattico Personalizzato (PDP), che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare – secondo
un’elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata – le strategie di intervento più idonee e i
criteri di valutazione degli apprendimenti.
In questa nuova e più ampia ottica, il Piano Didattico Personalizzato non può più essere inteso
come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è
bensì lo strumento in cui si potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico-educative
calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita (di cui moltissimi alunni con BES,
privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti programmatici utili in
maggior misura rispetto a compensazioni o dispense, a carattere squisitamente didatticostrumentale.
La Direttiva ben chiarisce come la presa in carico dei BES debba essere al centro dell’attenzione
e dello sforzo congiunto della scuola e della famiglia.
È necessario che l’attivazione di un percorso individualizzato e personalizzato per un alunno
con Bisogni Educativi Speciali sia deliberata in Consiglio di classe – ovvero, nelle scuole primarie,
da tutti i componenti del team docenti – dando luogo al PDP, firmato dal Dirigente scolastico (o da
un docente da questi specificamente delegato), dai docenti e dalla famiglia. Nel caso in cui sia
necessario trattare dati sensibili per finalità istituzionali, si avrà cura di includere nel PDP apposita
autorizzazione da parte della famiglia.
A titolo esemplificativo, sul sito del MIUR saranno pubblicati alcuni modelli di PDP (Cfr.
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/dsa) .
Ove non sia presente certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di classe o il team dei docenti
motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base di considerazioni
pedagogiche e didattiche; ciò al fine di evitare contenzioso.
Alunni con DSA e disturbi evolutivi specifici
Per quanto riguarda gli alunni in possesso di una diagnosi di DSA rilasciata da una struttura
privata, si raccomanda – nelle more del rilascio della certificazione da parte di strutture sanitarie
pubbliche o accreditate – di adottare preventivamente le misure previste dalla Legge 170/2010,
qualora il Consiglio di classe o il team dei docenti della scuola primaria ravvisino e riscontrino, sulla Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione
3
base di considerazioni psicopedagogiche e didattiche, carenze fondatamente riconducibili al disturbo.
Pervengono infatti numerose segnalazioni relative ad alunni (già sottoposti ad accertamenti
diagnostici nei primi mesi di scuola) che, riuscendo soltanto verso la fine dell’anno scolastico ad
ottenere la certificazione, permangono senza le tutele cui sostanzialmente avrebbero diritto. Si
evidenzia pertanto la necessità di superare e risolvere le difficoltà legate ai tempi di rilascio delle
certificazioni (in molti casi superiori ai sei mesi) adottando comunque un piano didattico
individualizzato e personalizzato nonché tutte le misure che le esigenze educative riscontrate
richiedono. Negli anni terminali di ciascun ciclo scolastico, in ragione degli adempimenti connessi
agli esami di Stato, le certificazioni dovranno essere presentate entro il termine del 31 marzo, come
previsto all’art.1 dell’Accordo sancito in Conferenza Stato-Regioni sulle certificazioni per i DSA
(R.A. n. 140 del 25 luglio 2012).
Area dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale
Si vuole inoltre richiamare ulteriormente l’attenzione su quell’area dei BES che interessa lo
svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale. La Direttiva, a tale proposito, ricorda che “ogni
alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per
motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è
necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”. Tali tipologie di BES dovranno
essere individuate sulla base di elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei
servizi sociali), ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche.
Per questi alunni, e in particolare per coloro che sperimentano difficoltà derivanti dalla non
conoscenza della lingua italiana – per esempio alunni di origine straniera di recente immigrazione
e, in specie, coloro che sono entrati nel nostro sistema scolastico nell’ultimo anno – è parimenti
possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati, oltre che adottare strumenti
compensativi e misure dispensative (ad esempio la dispensa dalla lettura ad alta voce e le attività
ove la lettura è valutata, la scrittura veloce sotto dettatura, ecc.), con le stesse modalità sopra
indicate.
In tal caso si avrà cura di monitorare l’efficacia degli interventi affinché siano messi in atto per
il tempo strettamente necessario. Pertanto, a differenza delle situazioni di disturbo documentate da
diagnosi, le misure dispensative, nei casi sopra richiamati, avranno carattere transitorio e attinente
aspetti didattici, privilegiando dunque le strategie educative e didattiche attraverso percorsi
personalizzati, più che strumenti compensativi e misure dispensative.
In ogni caso, non si potrà accedere alla dispensa dalle prove scritte di lingua straniera se non in
presenza di uno specifico disturbo clinicamente diagnosticato, secondo quanto previsto dall’art. 6
del DM n. 5669 del 12 luglio 2011 e dalle allegate Linee guida.
Si rammenta, infine, che, ai sensi dell’articolo 5 del DPR n. 89/2009, le 2 ore di insegnamento
della seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado possono essere utilizzate
anche per potenziare l’insegnamento della lingua italiana per gli alunni stranieri non in possesso
delle necessarie conoscenze e competenze nella medesima lingua italiana, nel rispetto
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Eventuali disposizioni in merito allo svolgimento degli esami di Stato o delle rilevazioni annuali
degli apprendimenti verranno fornite successivamente. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione
4
AZIONI A LIVELLO DI SINGOLA ISTITUZIONE SCOLASTICA
Per perseguire tale “politica per l’inclusione”, la Direttiva fornisce indicazioni alle istituzioni
scolastiche, che dovrebbero esplicitarsi, a livello di singole scuole, in alcune azioni strategiche di
seguito sintetizzate.
1. Fermo restando quanto previsto dall’art. 15 comma 2 della L. 104/92, i compiti del Gruppo di
lavoro e di studio d’Istituto (GLHI) si estendono alle problematiche relative a tutti i BES. A
tale scopo i suoi componenti sono integrati da tutte le risorse specifiche e di coordinamento
presenti nella scuola (funzioni strumentali, insegnanti per il sostegno, AEC, assistenti alla
comunicazione, docenti “disciplinari” con esperienza e/o formazione specifica o con compiti di
coordinamento delle classi, genitori ed esperti istituzionali o esterni in regime di
convenzionamento con la scuola), in modo da assicurare all’interno del corpo docente il
trasferimento capillare delle azioni di miglioramento intraprese e un’efficace capacità di
rilevazione e intervento sulle criticità all’interno delle classi.
Tale Gruppo di lavoro assume la denominazione di Gruppo di lavoro per l’inclusione (in sigla
GLI) e svolge le seguenti funzioni:
 rilevazione dei BES presenti nella scuola;
 raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi posti in essere anche in
funzione di azioni di apprendimento organizzativo in rete tra scuole e/o in rapporto con
azioni strategiche dell’Amministrazione;
 focus/confronto sui casi, consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie di
gestione delle classi;
 rilevazione, monitoraggio e valutazione del livello di inclusività della scuola;
 raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli GLH Operativi sulla base
delle effettive esigenze, ai sensi dell’art. 1, c. 605, lettera b, della legge 296/2006, tradotte
in sede di definizione del PEI come stabilito dall’art. 10 comma 5 della Legge 30 luglio
2010 n. 122 ;
 elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività riferito a tutti gli
alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di Giugno).
A tale scopo, il Gruppo procederà ad un’analisi delle criticità e dei punti di forza degli
interventi di inclusione scolastica operati nell’anno appena trascorso e formulerà
un’ipotesi globale di utilizzo funzionale delle risorse specifiche, istituzionali e non, per
incrementare il livello di inclusività generale della scuola nell’anno successivo. Il Piano
sarà quindi discusso e deliberato in Collegio dei Docenti e inviato ai competenti Uffici
degli UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR, per la richiesta di organico di sostegno, e
alle altre istituzioni territoriali come proposta di assegnazione delle risorse di
competenza, considerando anche gli Accordi di Programma in vigore o altre specifiche
intese sull’integrazione scolastica sottoscritte con gli Enti Locali. A seguito di ciò, gli
Uffici Scolastici regionali assegnano alle singole scuole globalmente le risorse di
sostegno secondo quanto stabilito dall’ art 19 comma 11 della Legge n. 111/2011.
Nel mese di settembre, in relazione alle risorse effettivamente assegnate alla scuola –
ovvero, secondo la previsione dell’art. 50 della L.35/2012, alle reti di scuole -, il Gruppo Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione
5
provvederà ad un adattamento del Piano, sulla base del quale il Dirigente scolastico
procederà all’assegnazione definitiva delle risorse, sempre in termini “funzionali”.
A tal punto i singoli GLHO completeranno la redazione del PEI per gli alunni con
disabilità di ciascuna classe, tenendo conto di quanto indicato nelle Linee guida del 4
agosto 2009.
 Inoltre il Gruppo di lavoro per l’inclusione costituisce l’interfaccia della rete dei CTS e
dei servizi sociali e sanitari territoriali per l’implementazione di azioni di sistema
(formazione, tutoraggio, progetti di prevenzione, monitoraggio, ecc.).
Dal punto di vista organizzativo, pur nel rispetto delle autonome scelte delle scuole, si suggerisce
che il gruppo svolga la propria attività riunendosi (per quanto riguarda le risorse specifiche
presenti: insegnanti per il sostegno, AEC, assistenti alla comunicazione, funzioni strumentali,
ecc.), con una cadenza – ove possibile – almeno mensile, nei tempi e nei modi che maggiormente
si confanno alla complessità interna della scuola, ossia in orario di servizio ovvero in orari
aggiuntivi o funzionali (come previsto dagli artt. 28 e 29 del CCNL 2006/2009), potendo far
rientrare la partecipazione alle attività del gruppo nei compensi già pattuiti per i docenti in sede di
contrattazione integrativa di istituto. Il Gruppo, coordinato dal Dirigente scolastico o da un suo
delegato, potrà avvalersi della consulenza e/o supervisione di esperti esterni o interni, anche
attraverso accordi con soggetti istituzionali o del privato sociale e, a seconda delle necessità (ad
esempio, in caso di istituto comprensivo od onnicomprensivo), articolarsi anche per gradi
scolastici.
All’inizio di ogni anno scolastico il Gruppo propone al Collegio dei Docenti una
programmazione degli obiettivi da perseguire e delle attività da porre in essere, che confluisce
nel Piano annuale per l’Inclusività; al termine dell’anno scolastico, il Collegio procede alla
verifica dei risultati raggiunti.
2. Nel P.O.F. della scuola occorre che trovino esplicitazione:
 un concreto impegno programmatico per l’inclusione, basato su una attenta lettura del
grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso
della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell’insegnamento curricolare,
della gestione delle classi, dell’organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle
relazioni tra docenti, alunni e famiglie;
 criteri e procedure di utilizzo “funzionale” delle risorse professionali presenti,
privilegiando, rispetto a una logica meramente quantitativa di distribuzione degli
organici, una logica “qualitativa”, sulla base di un progetto di inclusione condiviso con
famiglie e servizi sociosanitari che recuperi l’aspetto “pedagogico” del percorso di
apprendimento e l’ambito specifico di competenza della scuola;
 l’impegno a partecipare ad azioni di formazione e/o di prevenzione concordate a livello
territoriale.
3. La rilevazione, il monitoraggio e la valutazione del grado di inclusività della scuola sono
finalizzate ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la
trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati” educativi. Da tali azioni
si potranno inoltre desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di miglioramento
organizzativo e culturale. A tal fine possono essere adottati sia strumenti strutturati reperibili in Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione
6
rete [come l’”Index per l’inclusione” o il progetto “Quadis” (http://www.quadis.it/jm/)%5D, sia
concordati a livello territoriale. Ci si potrà inoltre avvalere dell’approccio fondato sul modello
ICF dell’OMS e dei relativi concetti di barriere e facilitatori.
AZIONI A LIVELLO TERRITORIALE
La direttiva affida un ruolo fondamentale ai CTS – Centri Territoriali di Supporto, quale
interfaccia fra l’Amministrazione e le scuole, e tra le scuole stesse nonché quale rete di supporto al
processo di integrazione, allo sviluppo professionale dei docenti e alla diffusione delle migliori
pratiche.
Le scuole dovranno poi impegnarsi a perseguire, anche attraverso le reti scolastiche, accordi e
intese con i servizi sociosanitari territoriali (ASL, Servizi sociali e scolastici comunali e provinciali,
enti del privato sociale e del volontariato, Prefetture, ecc.) finalizzati all’integrazione dei servizi “alla
persona” in ambito scolastico, con funzione preventiva e sussidiaria, in ottemperanza a quanto
previsto dalla Legge 328/2000. Tali accordi dovranno prevedere l’esplicitazione di procedure
condivise di accesso ai diversi servizi in relazione agli alunni con BES presenti nella scuola.
Si precisa inoltre che, fermi restando compiti e composizione dei GLIP di cui all’art. 15 commi 1,
3 e 4 della L. 104/92, le loro funzioni si estendono anche a tutti i BES, stante l’indicazione contenuta
nella stessa L. 104/92 secondo cui essi debbono occuparsi dell’integrazione scolastica degli alunni
con disabilità, “nonché per qualsiasi altra attività inerente all’integrazione degli alunni in difficoltà di
apprendimento.”
In ogni caso, i CTS dovranno strettamente collaborare con i GLIP ovvero con i GLIR, la cui
costituzione viene raccomandata nelle Linee guida del 4 agosto 2009.
CTI – Centri Territoriali per l’Inclusione
Il ruolo dei nuovi CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione), che potranno essere individuati a
livello di rete territoriale – e che dovranno collegarsi o assorbire i preesistenti Centri Territoriali per
l’integrazione Scolastica degli alunni con disabilità, i Centri di Documentazione per l’integrazione
scolastica degli alunni con disabilità (CDH) ed i Centri Territoriali di Risorse per l’integrazione
scolastica degli alunni con disabilità (CTRH) – risulta strategico anche per creare i presupposti per
l’attuazione dell’art. 50 del DL 9.2.2012, n°5, così come modificato dalla Legge 4.4.2012, n° 35, là
dove si prevede (comma b) la “definizione, per ciascuna istituzione scolastica, di un organico
dell’autonomia, funzionale all’ordinaria attività didattica, educativa, amministrativa, tecnica e
ausiliaria, alle esigenze di sviluppo delle eccellenze, di recupero, di integrazione e sostegno agli
alunni con bisogni educativi speciali e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico,
anche ai fini di una estensione del tempo scuola” e ancora (comma c) la “costituzione […] di reti
territoriali tra istituzioni scolastiche, al fine di conseguire la gestione ottimale delle risorse umane,
strumentali e finanziarie” e ancora (comma d) la “definizione di un organico di rete per le finalità
di cui alla lettera c) nonché per l’integrazione degli alunni con bisogni educativi speciali, la
formazione permanente, la prevenzione dell’abbandono e il contrasto dell’insuccesso scolastico e
formativo e dei fenomeni di bullismo, specialmente per le aree di massima corrispondenza tra
povertà e dispersione scolastica” e infine (comma e) la “costituzione degli organici di cui alle
lettere b) e d) […] sulla base dei posti corrispondenti a fabbisogni con carattere di stabilità per Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione
7
almeno un triennio sulla singola scuola, sulle reti di scuole e sugli ambiti provinciali, anche per i
posti di sostegno, fatte salve le esigenze che ne determinano la rimodulazione annuale.”
Laddove, per ragioni legate alla complessità territoriale, i CTI non potessero essere istituiti o
risultassero poco funzionali, le singole scuole cureranno, attraverso il Gruppo di Lavoro per
l’Inclusione, il contatto con i CTS di riferimento.
Si precisa che il gruppo di docenti operatori del CTS o anche del CTI dovrà essere in possesso
di specifiche competenze, al fine di poter supportare concretamente le scuole e i colleghi con
interventi di consulenza e di formazione mirata. È quindi richiesta una “specializzazione” – nel
senso di una approfondita competenza – nelle tematiche relative ai BES. Per quanto riguarda l’area
della disabilità, si tratterà in primis di docenti specializzati nelle attività di sostegno, ma anche di
docenti curricolari esperti nelle nuove tecnologie per l’inclusione. Per l’area dei disturbi evolutivi
specifici, potranno essere individuati docenti che abbiano frequentato master e/o corsi di
perfezionamento in “Didattica e psicopedagogia per i DSA”, ovvero che abbiano maturato
documentata e comprovata esperienza nel campo, a partire da incarichi assunti nel progetto NTD
(Nuove Tecnologie e Disabilità) attivato sin dal 2006. Anche in questo secondo caso è auspicabile
che il docente operatore dei CTS o dei CTI sia in possesso di adeguate competenze nel campo delle
nuove tecnologie, che potranno essere impiegate anche in progetti per il recupero dello svantaggio
linguistico e culturale ivi compresa l’attivazione di percorsi mirati.
Le istituzioni scolastiche che volessero istituire un CTI possono presentare la propria
candidatura direttamente all’Ufficio Scolastico regionale competente per territorio.
Nel rinviare all’unita Direttiva per una riflessione da portare anche all’interno del Collegio dei
Docenti o loro articolazioni, si invitano le SS.LL. a dare la massima diffusione alla presente
Circolare che viene pubblicata sul sito Internet del Ministero e sulla rete Intranet.
Confidando nella sensibilità e nell’attenzione degli uffici dell’Amministrazione e di tutti coloro
cui la presente circolare è indirizzata, si ringrazia per la collaborazione.
IL CAPO DIPARTIMENTO
f.to Lucrezia Stellacci

 

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Viale Trastevere, 76/a – 00153 Roma
Tel: 06/58493800-3733-3783 – Fax: 06/58492087 – E-mail: segr.dip.istruzione@istruzione.it
Roma, 27 giugno 2013
Prot. 0001551/2013
Ai Direttori Generali
degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI
Al Direttore Generale
per gli Ordinamenti scolastici
SEDE
Al Direttore Generale
per lo Studente
SEDE
Oggetto: Piano Annuale per l’Inclusività – Direttiva 27 dicembre 2012 e C.M. n. 8/2013
Come noto, la C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 prevede che il Gruppo di lavoro per l’inclusione di
ciascuna istituzione scolastica elabori una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività riferito a
tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico. A tale scopo, il Gruppo
procederà ad un’analisi delle criticità e dei punti di forza degli interventi di inclusione scolastica
operati nell’anno appena trascorso […].
Con la presente nota si ritiene opportuno ribadire – come chiarito nel corso della Conferenza di
Servizio tenutasi a Montecatini dal 7 al 9 giugno scorsi – che scopo del Piano annuale per
l’Inclusività (P.A.I.) è fornire un elemento di riflessione nella predisposizione del POF, di cui il
P.A.I. è parte integrante. Il P.A.I., infatti, non va inteso come un ulteriore adempimento
burocratico, bensì come uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza
dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione
alla qualità dei “risultati” educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente
la scuola “per tutti e per ciascuno”. Esso è prima di tutto un atto interno della scuola autonoma,
finalizzato all’auto-conoscenza e alla pianificazione, da sviluppare in un processo responsabile e
attivo di crescita e partecipazione.
In questa ottica di sviluppo e monitoraggio delle capacità inclusive della scuola – nel rispetto
delle prerogative dell’autonomia scolastica – il P.A.I. non va dunque interpretato come un “piano
formativo per gli alunni con bisogni educativi speciali”, ad integrazione del P.O.F. (in questo caso
più che di un “piano per l’inclusione” si tratterebbe di un “piano per gli inclusi”). Il P.A.I. non è
quindi un “documento” per chi ha bisogni educativi speciali, ma è lo strumento per una
progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo, è lo sfondo ed il fondamento sul
quale sviluppare una didattica attenta ai bisogni di ciascuno nel realizzare gli obiettivi comuni, le
linee guida per un concreto impegno programmatico per l’inclusione, basato su una attenta 2
lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso
della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell’insegnamento curricolare, della
gestione delle classi, dell’organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra
docenti, alunni e famiglie.
Tali complessi e delicati passaggi – proprio affinché l’elaborazione del P.A.I. non si risolva in
un processo compilativo, di natura meramente burocratica anziché pedagogica – richiedono un
percorso partecipato e condiviso da parte di tutte le componenti della comunità educante, facilitando
processi di riflessione e approfondimento, dando modo e tempo per approfondire i temi delle
didattiche inclusive, della gestione della classe, dei percorsi individualizzati, nella prospettiva di un
miglioramento della qualità dell’integrazione scolastica, il cui modello – è bene ricordarlo – è
assunto a punto di riferimento per le politiche inclusive in Europa e non solo.
In tal senso occorrerà – sia a livello di Amministrazione centrale che periferica – proseguire nel
percorso di accompagnamento già avviato, teso a promuovere specifiche azioni di formazione,
informazione e supporto per aiutare le istituzioni scolastiche a cimentarsi in questa nuova sfida,
valorizzando le esperienze delle scuole che già adesso hanno saputo organizzarsi rispettando le
scadenze indicate nella CM 8/13, affinché il P.A.I. possa entrare, in modo regolare, convinto ed
efficace nella prassi organizzativa delle nostre scuole come strumento per promuovere la vera
inclusione.
A tal fine, per questa prima fase di attuazione, tenuto conto del sovrapporsi di vari adempimenti
collegati con la chiusura del corrente anno scolastico, ciascun Ufficio Scolastico Regionale,
nell’ambito della propria discrezionalità e sulla scorta delle esigenze emergenti nel proprio territorio
di competenza, definirà tempi e modi per la restituzione dei P.A.I. da parte delle Istituzioni
scolastiche, tenuto conto che, per le caratteristiche di complessità introdotte dalla Direttiva del 27
dicembre 2012, il prossimo anno scolastico dovrà essere utilizzato per sperimentare e monitorare
procedure, metodologie e pratiche anche organizzative.
Resta fermo che il P.A.I. non sostituisce le richieste di organico di sostegno delle scuole, che
dovranno avvenire secondo le modalità definite da ciascun Ambito Territoriale.
È inoltre intenzione della scrivente procedere a una raccolta delle migliori pratiche in ordine alla
definizione dei Piani in parola. A tal fine si richiede la collaborazione delle SS.LL. affinché
censiscano le proposte di P.A.I. realizzate nel loro territorio e trasmettendo copia delle rilevazioni,
unitamente ad una selezione delle buone pratiche, alla Direzione Generale per lo Studente, agli
indirizzi: dgstudente.direttoregenerale@istruzione.it e raffaele.ciambrone@istruzione.it. Tale
raccolta costituirà uno strumento utile di riflessione e condivisione per le singole realtà scolastiche.
Confidando nella sensibilità e nell’attenzione degli uffici dell’Amministrazione, si resta a
disposizione per qualunque ulteriore chiarimento e si ringrazia per la consueta fattiva
collaborazione.
IL CAPO DIPARTIMENTO
f.to Lucrezia Stellacci

Direttiva del Ministro Profumo sui Bisogni educativi Speciali

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
STRUMENTI D’INTERVENTO PER ALUNNI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI
E ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE PER L’INCLUSIONE SCOLASTICA
Premessa
I principi che sono alla base del nostro modello di integrazione scolastica – assunto a punto di riferimento per
le politiche di inclusione in Europa e non solo – hanno contribuito a fare del sistema di istruzione italiano un
luogo di conoscenza, sviluppo e socializzazione per tutti, sottolineandone gli aspetti inclusivi piuttosto che
quelli selettivi.
Forte di questa esperienza, il nostro Paese è ora in grado, passati più di trent’anni dalla legge n.517 del 1977,
che diede avvio all’integrazione scolastica, di considerare le criticità emerse e di valutare, con maggiore
cognizione, la necessità di ripensare alcuni aspetti dell’intero sistema.
Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di un contesto sempre più variegato, dove la
discriminante tradizionale – alunni con disabilità / alunni senza disabilità – non rispecchia pienamente la
complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il
quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che
certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in
una cornice ristretta. A questo riguardo è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello
diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua
totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del
contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno
prescindendo da preclusive tipizzazioni.
In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi
Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è
necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.
Va quindi potenziata la cultura dell’inclusione, e ciò anche mediante un approfondimento delle relative
competenze degli insegnanti curricolari, finalizzata ad una più stretta interazione tra tutte le componenti della
comunità educante.
In tale ottica, assumono un valore strategico i Centri Territoriali di Supporto, che rappresentano l’interfaccia
fra l’Amministrazione e le scuole e tra le scuole stesse in relazione ai Bisogni Educativi Speciali. Essi
pertanto integrano le proprie funzioni – come già chiarito dal D.M. 12 luglio 2011 per quanto concerne i
disturbi specifici di apprendimento – e collaborano con le altre risorse territoriali nella definizione di una rete
di supporto al processo di integrazione, con particolare riferimento, secondo la loro originaria vocazione, al
potenziamento del contesto scolastico mediante le nuove tecnologie, ma anche offrendo un ausilio ai docenti
secondo un modello cooperativo di intervento.
Considerato, pertanto, il ruolo che nel nuovo modello organizzativo dell’integrazione è dato ai Centri
Territoriali di Supporto, la presente direttiva definisce nella seconda parte le modalità di organizzazione degli
stessi, le loro funzioni, nonché la composizione del personale che vi opera.
Nella prima parte sono fornite indicazioni alle scuole per la presa in carico di alunni e studenti con Bisogni
Educativi Speciali. 2
1. Bisogni Educativi Speciali (BES)
L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di
deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di
ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici,
difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture
diverse. Nel variegato panorama delle nostre scuole la complessità delle classi diviene sempre più evidente.
Quest’area dello svantaggio scolastico, che ricomprende problematiche diverse, viene indicata come area dei
Bisogni Educativi Speciali (in altri paesi europei: Special Educational Needs). Vi sono comprese tre grandi
sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale.
Per “disturbi evolutivi specifici” intendiamo, oltre i disturbi specifici dell’apprendimento, anche i deficit del
linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, ricomprendendo – per la comune origine
nell’età evolutiva – anche quelli dell’attenzione e dell’iperattività, mentre il funzionamento intellettivo limite
può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico. Per molti di questi profili i
relativi codici nosografici sono ricompresi nelle stesse categorie dei principali Manuali Diagnostici e, in
particolare, del manuale diagnostico ICD-10, che include la classificazione internazionale delle malattie e dei
problemi correlati, stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e utilizzata dai Servizi Sociosanitari
pubblici italiani.
Tutte queste differenti problematiche, ricomprese nei disturbi evolutivi specifici, non vengono o possono non
venir certificate ai sensi della legge 104/92, non dando conseguentemente diritto alle provvidenze ed alle
misure previste dalla stessa legge quadro, e tra queste, all’insegnante per il sostegno.
La legge 170/2010, a tal punto, rappresenta un punto di svolta poiché apre un diverso canale di cura
educativa, concretizzando i principi di personalizzazione dei percorsi di studio enunciati nella legge 53/2003,
nella prospettiva della “presa in carico” dell’alunno con BES da parte di ciascun docente curricolare e di
tutto il team di docenti coinvolto, non solo dall’insegnante per il sostegno.
1.2 Alunni con disturbi specifici
Gli alunni con competenze intellettive nella norma o anche elevate, che – per specifici problemi – possono
incontrare difficoltà a Scuola, devono essere aiutati a realizzare pienamente le loro potenzialità. Fra essi,
alunni e studenti con DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento) sono stati oggetto di importanti
interventi normativi, che hanno ormai definito un quadro ben strutturato di norme tese ad assicurare il loro
diritto allo studio.
Tuttavia, è bene precisare che alcune tipologie di disturbi, non esplicitati nella legge 170/2010, danno diritto
ad usufruire delle stesse misure ivi previste in quanto presentano problematiche specifiche in presenza di
competenze intellettive nella norma. Si tratta, in particolare, dei disturbi con specifiche problematiche
nell’area del linguaggio (disturbi specifici del linguaggio o – più in generale- presenza di bassa intelligenza
verbale associata ad alta intelligenza non verbale) o, al contrario, nelle aree non verbali (come nel caso del
disturbo della coordinazione motoria, della disprassia, del disturbo non-verbale o – più in generale – di bassa
intelligenza non verbale associata ad alta intelligenza verbale, qualora però queste condizioni compromettano
sostanzialmente la realizzazione delle potenzialità dell’alunno) o di altre problematiche severe che possono
compromettere il percorso scolastico (come per es. un disturbo dello spettro autistico lieve, qualora non
rientri nelle casistiche previste dalla legge 104).
Un approccio educativo, non meramente clinico – secondo quanto si è accennato in premessa – dovrebbe dar
modo di individuare strategie e metodologie di intervento correlate alle esigenze educative speciali, nella
prospettiva di una scuola sempre più inclusiva e accogliente, senza bisogno di ulteriori precisazioni di
carattere normativo.
Al riguardo, la legge 53/2003 e la legge 170/2010 costituiscono norme primarie di riferimento cui ispirarsi
per le iniziative da intraprendere con questi casi.3
1.3 Alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività
Un discorso particolare si deve fare a proposito di alunni e studenti con problemi di controllo attentivo e/o
dell’attività, spesso definiti con l’acronimo A.D.H.D. (Attention Deficit Hyperactivity Disorder),
corrispondente all’acronimo che si usava per l’Italiano di D.D.A.I. – Deficit da disturbo dell’attenzione e
dell’iperattività.
L’ADHD si può riscontrare anche spesso associato ad un DSA o ad altre problematiche, ha una causa
neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. Si
è stimato che il disturbo, in forma grave tale da compromettere il percorso scolastico, è presente in circa l’1%
della popolazione scolastica, cioè quasi 80.000 alunni (fonte I.S.S),
Con notevole frequenza l’ADHD è in comorbilità con uno o più disturbi dell’età evolutiva: disturbo
oppositivo provocatorio; disturbo della condotta in adolescenza; disturbi specifici dell’apprendimento;
disturbi d’ansia; disturbi dell’umore, etc.
Il percorso migliore per la presa in carico del bambino/ragazzo con ADHD si attua senz’altro quando è
presente una sinergia fra famiglia, scuola e clinica. Le informazioni fornite dagli insegnanti hanno una parte
importante per il completamento della diagnosi e la collaborazione della scuola è un anello fondamentale nel
processo riabilitativo.
In alcuni casi il quadro clinico particolarmente grave – anche per la comorbilità con altre patologie – richiede
l’assegnazione dell’insegnante di sostegno, come previsto dalla legge 104/92. Tuttavia, vi sono moltissimi
ragazzi con ADHD che, in ragione della minor gravità del disturbo, non ottengono la certificazione di
disabilità, ma hanno pari diritto a veder tutelato il loro successo formativo.
Vi è quindi la necessità di estendere a tutti gli alunni con bisogni educativi speciali le misure previste dalla
Legge 170 per alunni e studenti con disturbi specifici di apprendimento.
1.4 Funzionamento cognitivo limite
Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti generalmente con le espressioni di
funzionamento cognitivo (intellettivo) limite (o borderline), ma anche con altre espressioni (per es. disturbo
evolutivo specifico misto, codice F83) e specifiche differenziazioni – qualora non rientrino nelle previsioni
delle leggi 104 o 170 – richiedono particolare considerazione. Si può stimare che questi casi si aggirino
intorno al 2,5% dell’intera popolazione scolastica, cioè circa 200.000 alunni.
Si tratta di bambini o ragazzi il cui QI globale (quoziente intellettivo) risponde a una misura che va dai 70
agli 85 punti e non presenta elementi di specificità. Per alcuni di loro il ritardo è legato a fattori
neurobiologici ed è frequentemente in comorbilità con altri disturbi. Per altri, si tratta soltanto di una forma
lieve di difficoltà tale per cui, se adeguatamente sostenuti e indirizzati verso i percorsi scolastici più consoni
alle loro caratteristiche, gli interessati potranno avere una vita normale. Gli interventi educativi e didattici
hanno come sempre ed anche in questi casi un’importanza fondamentale.
1.5 Adozione di strategie di intervento per i BES
Dalle considerazioni sopra esposte si evidenzia, in particolare, la necessità di elaborare un percorso
individualizzato e personalizzato per alunni e studenti con bisogni educativi speciali, anche attraverso la
redazione di un Piano Didattico Personalizzato, individuale o anche riferito a tutti i bambini della classe con
BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti ed abbia la funzione di
documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate.
Le scuole – con determinazioni assunte dai Consigli di classe, risultanti dall’esame della documentazione
clinica presentata dalle famiglie e sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico –
possono avvalersi per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali degli strumenti compensativi e delle
misure dispensative previste dalle disposizioni attuative della Legge 170/2010 (DM 5669/2011), meglio
descritte nelle allegate Linee guida.
1.6 Formazione
Si è detto che vi è una sempre maggiore complessità nelle nostre classi, dove si intrecciano i temi della
disabilità, dei disturbi evolutivi specifici, con le problematiche del disagio sociale e dell’inclusione degli 4
alunni stranieri. Per questo è sempre più urgente adottare una didattica che sia ‘denominatore comune’ per
tutti gli alunni e che non lasci indietro nessuno: una didattica inclusiva più che una didattica speciale.
Al fine di corrispondere alle esigenze formative che emergono dai nuovi contesti della scuola italiana, alle
richieste di approfondimento e accrescimento delle competenze degli stessi docenti e dirigenti scolastici, il
MIUR ha sottoscritto un accordo quadro con le Università presso le quali sono attivati corsi di scienze della
formazione finalizzato all’attivazione di corsi di perfezionamento professionale e/o master rivolti al
personale della scuola.
A partire dall’anno accademico 2011/2012 sono stati attivati 35 corsi/master in “Didattica e psicopedagogia
dei disturbi specifici di apprendimento” in tutto il territorio nazionale.
A seguito dei positivi riscontri relativi alla suddetta azione, la Direzione generale per lo Studente,
l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione d’intesa con la Direzione Generale per il Personale
scolastico – con la quale ha sottoscritto un’apposita convenzione con alcune università italiane mirata alla
costituzione di una rete delle facoltà/dipartimenti di scienze della formazione – ha predisposto una ulteriore
offerta formativa che si attiverà sin dal corrente anno scolastico su alcune specifiche tematiche emergenti in
tema di disabilità, con corsi/master dedicati alla didattica e psicopedagogia per l’autismo, l’ADHD, le
disabilità intellettive e i funzionamenti intellettivi limite, l’educazione psicomotoria inclusiva e le disabilità
sensoriali.
L’attivazione dei percorsi di alta formazione dovrà contemperare l’esigenza di rispondere al fabbisogno
rilevato ed a requisiti di carattere tecnico-scientifico da parte delle università che si renderanno disponibili a
tenere i corsi.
2. Organizzazione territoriale per l’ottimale realizzazione dell’inclusione scolastica
2.1 I CTS – Centri Territoriali di Supporto: distribuzione sul territorio
I Centri Territoriali di Supporto (CTS) sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo con il
MIUR mediante il Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”. I Centri sono collocati presso scuole polo e la
loro sede coincide con quella dell’istituzione scolastica che li accoglie.
È pertanto facoltà degli Uffici Scolastici Regionali integrare o riorganizzare la rete regionale dei CTS, secondo
eventuali nuove necessità emerse in ordine alla qualità e alla distribuzione del servizio.
Si ritiene, a questo riguardo, opportuna la presenza di un CTS almeno su un territorio corrispondente ad ogni
provincia della Regione, fatte salve le aree metropolitane che, per densità di popolazione, possono
necessitare di uno o più CTS dedicati.
Un’equa distribuzione sul territorio facilita il fatto che i CTS divengano punti di riferimento per le scuole e
coordinino le proprie attività con Province, Comuni, Municipi, Servizi Sanitari, Associazioni delle persone
con disabilità e dei loro familiari, Centri di ricerca, di formazione e di documentazione, anche istituiti dalle
predette associazioni, nel rispetto di strategie generali eventualmente definite a livello di Ufficio Scolastico
Regionale e di Ministero centrale. Il coordinamento con il territorio assicura infatti ai CTS una migliore
efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse disponibili e aumenta la capacità complessiva del sistema
di offrire servizi adeguati. Sarà cura degli Uffici Scolastici Regionali operare il raccordo tra i CTS e i GLIR,
oltre che raccordare i GLIP con i nuovi organismi previsti nella presente Direttiva.
Ad un livello territoriale meno esteso, che può coincidere ad esempio con il distretto socio-sanitario, è
risultato utile individuare altre scuole polo facenti parte di una rete per l’inclusione scolastica.
Tale esperienza è stata già sperimentata con successo in alcune regioni in cui ai CTS, di livello provinciale,
sono stati affiancati i CTI-Centri Territoriali per l’Inclusione, di livello distrettuale.
La creazione di una rete diffusa e ben strutturata tra tutte le scuole ed omogenea nella sua articolazione rende
concreta la possibilità per i docenti di avere punti di contatto e di riferimento per tutte le problematiche
inerenti i Bisogni Educativi Speciali.
A livello di singole scuole, è auspicabile una riflessione interna che, tenendo conto delle risorse presenti,
individui possibili modelli di relazione con la rete dei CTS e dei CTI, al fine di assicurare la massima
ricaduta possibile delle azioni di consulenza, formazione, monitoraggio e raccolta di buone pratiche,
perseguendo l’obiettivo di un sempre maggior coinvolgimento degli insegnanti curricolari, attraverso – ad
esempio – la costituzione di gruppi di lavoro per l’inclusione scolastica. Occorre in buona sostanza
pervenire ad un reale coinvolgimento dei Collegi dei Docenti e dei Consigli di Istituto che porti 5
all’adozione di una politica (nel senso di “policy”) interna delle scuole per l’inclusione, che assuma una
reale trasversalità e centralità rispetto al complesso dell’offerta formativa.
L’organizzazione territoriale per l’inclusione prevede quindi:
• i GLH a livello di singola scuola, eventualmente affiancati da Gruppi di lavoro per l’Inclusione; i
GLH di rete o distrettuali,
• i Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI) a livello di distretto sociosanitario e
• almeno un CTS a livello provinciale.
Al fine di consentire un’adeguata comunicazione, a livello regionale, delle funzioni, delle attività e della
collocazione geografica dei CTS, ogni Centro o rete di Centri predispone e aggiorna un proprio sito web, il
cui link sarà selezionabile anche dal portale dell’Ufficio Scolastico Regionale. Tali link sono inseriti nel
Portale MIUR dei Centri Territoriali di Supporto: http://www.istruzione.cts.it
 Sul sito dei CTS si possono prevedere pagine web per ciascun CTI ed eventualmente uno spazio per i GLH
di rete per favorire lo scambio aggiornato e la conoscenza delle attività del territorio.
2.1.2 L’équipe di docenti specializzati (docenti curricolari e di sostegno)
Ferme restando la formazione e le competenze di carattere generale in merito all’inclusione, tanto dei docenti
per le attività di sostegno quanto per i docenti curricolari, possono essere necessari interventi di esperti che
offrano soluzioni rapide e concrete per determinate problematiche funzionali. Si fa riferimento anzitutto a
risorse interne ossia a docenti che nell’ambito della propria esperienza professionale e dei propri studi
abbiano maturato competenze su tematiche specifiche della disabilità o dei disturbi evolutivi specifici.
Possono pertanto fare capo ai CTS équipe di docenti specializzati – sia curricolari sia per il sostegno – che
offrono alle scuole, in ambito provinciale, supporto e consulenza specifica sulla didattica dell’inclusione. La
presenza di docenti curricolari nell’equipe, così come nei GLH di istituto e di rete costituisce un elemento
importante nell’ottica di una vera inclusione scolastica.
Può essere preso ad esempio di tale modello lo Sportello Provinciale Autismo attivato in alcuni CTS, che, in
collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale, con i Centri Territoriali per l’Integrazione e le
Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, valorizzando la professionalità di un gruppo di
insegnanti esperti e formati, offre ai docenti di quella provincia una serie di servizi di consulenza – da
realizzarsi anche presso la scuola richiedente – per garantire l’efficacia dell’integrazione scolastica degli
alunni e degli studenti con autismo.
2.2. Funzioni dei Centri Territoriali di Supporto
L’effettiva capacità delle nuove tecnologie di raggiungere obiettivi di miglioramento nel processo di
apprendimento – insegnamento, sviluppo e socializzazione dipende da una serie di fattori strategici che
costituiscono alcune funzioni basilari dei Centri Territoriali di Supporto.
2.2.1 Informazione e formazione
I CTS informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro genitori delle risorse tecnologiche disponibili, sia
gratuite sia commerciali. Per tale scopo, organizzano incontri di presentazione di nuovi ausili, ne danno
notizia sul sito web oppure direttamente agli insegnanti o alle famiglie che manifestino interesse alle novità
in materia.
I CTS organizzano iniziative di formazione sui temi dell’inclusione scolastica e sui BES, nonché nell’ambito
delle tecnologie per l’integrazione, rivolte al personale scolastico, agli alunni o alle loro famiglie, nei modi e
nei tempi che ritengano opportuni.
Al fine di una maggiore efficienza della spesa, i CTS organizzano le iniziative di formazione anche in rete
con altri Centri Territoriali di Supporto, in collaborazione con altri organismi.
I CTS valutano e propongono ai propri utenti soluzioni di software freeware a partire da quelli realizzati
mediante l’Azione 6 del Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”
2.2.2 Consulenza
Oltre ad una formazione generale sull’uso delle tecnologie per l’integrazione rivolta agli insegnanti, è
necessario, per realizzare a pieno le potenzialità offerte dalle tecnologie stesse, il contributo di un esperto che 6
individui quale sia l’ausilio più appropriato da acquisire, soprattutto per le situazioni più complesse. I CTS
offrono pertanto consulenza in tale ambito, coadiuvando le scuole nella scelta dell’ausilio e accompagnando
gli insegnanti nell’acquisizione di competenze o pratiche didattiche che ne rendano efficace l’uso.
La consulenza offerta dai Centri non riguarda solo l’individuazione dell’ausilio più appropriato per l’alunno,
ma anche le modalità didattiche da attuare per inserire il percorso di apprendimento dello studente che
utilizza le tecnologie per l’integrazione nel più ampio ambito delle attività di classe e le modalità di
collaborazione con la famiglia per facilitare le attività di studio a casa.
La consulenza si estende gradualmente a tutto l’ambito della disabilità e dei disturbi evolutivi specifici, non
soltanto alle tematiche connesse all’uso delle nuove tecnologie.
2.2.3 Gestione degli ausili e comodato d’uso
I CTS acquistano ausili adeguati alle esigenze territoriali per svolgere le azioni previste nei punti 2.1. e 2.2 e
per avviare il servizio di comodato d’uso dietro presentazione di un progetto da parte delle scuole. Grazie
alla loro dotazione, possono consentire, prima dell’acquisto definitivo da parte della scuola o della richiesta
dell’ausilio al CTS, di provare e di verificare l’efficacia, per un determinato alunno, dell’ausilio stesso.
Nel caso del comodato d’uso di ausilio di proprietà del CTS, questo deve seguire l’alunno anche se cambia
scuola nell’ambito della stessa provincia, soprattutto nel passaggio di ciclo. In alcune province, in accordo con
gli Uffici Scolastici Regionali, alcuni CTS gestiscono l’acquisto degli ausili e la loro distribuzione agli alunni
sul territorio di riferimento, anche assegnandoli in comodato d’uso.
I CTS possono definire accordi con le Ausilioteche e/o Centri Ausili presenti sul territorio al fine di una
condivisa gestione degli ausili in questione, sulla base dell’Accordo quadro con la rete nazionale dei centri di
consulenza sugli ausili.
2.2.4 Buone pratiche e attività di ricerca e sperimentazione
I CTS raccolgono le buone pratiche di inclusione realizzate dalle istituzioni scolastiche e, opportunamente
documentate, le condividono con le scuole del territorio di riferimento, sia mediante l’attività di
informazione, anche attraverso il sito internet, sia nella fase di formazione o consulenza. Promuovono inoltre
ogni iniziativa atta a stimolare la realizzazione di buone pratiche nelle scuole di riferimento, curandone la
validazione e la successiva diffusione.
I CTS sono inoltre Centri di attività di ricerca didattica e di sperimentazione di nuovi ausili, hardware o
software, da realizzare anche mediante la collaborazione con altre scuole o CTS, Università e Centri di
Ricerca e, in particolare, con l’ITD-CNR di Genova, sulla base di apposita convenzione.
2.2.5 Piano annuale di intervento
Per ogni anno scolastico, i CTS, autonomamente o in rete, definiscono il piano annuale di intervento relativo
ad acquisti e iniziative di formazione. Nel piano, quindi, sono indicati gli acquisti degli ausili necessari, nei
limiti delle risorse disponibili e a ciò destinate, su richiesta della scuola e assegnati tramite comodato d’uso.
È opportuno che l’ausilio da acquistare sia individuato da un esperto operatore del CTS, con l’eventuale
supporto – se necessario – di esperti esterni indipendenti. Periodicamente, insieme ai docenti dell’alunno, è
verificata l’efficacia dell’ausilio medesimo.
Sono pianificati anche gli interventi formativi, tenendo conto dei bisogni emergenti dal territorio e delle
strategie e priorità generali individuate dagli Uffici Scolastici Regionali e dal MIUR.
2.2.6 Risorse economiche
Ogni anno il CTS riceve i fondi dal MIUR per le azioni previste ai punti 2.2.1 e 2.2.2 (informazione e
formazione condotta direttamente dagli operatori e/o esperti), 2.2.3 (acquisti ausili) e per il funzionamento
del CTS (spese di missione, spese per attività di formazione/autoformazione degli operatori). Altre risorse
possono essere messe a disposizione dagli Uffici Scolastici Regionali.
2.2.7 Promozione di intese territoriali per l’inclusione
I CTS potranno farsi promotori, in rete con le Istituzioni scolastiche, di intese e accordi territoriali con i
servizi sociosanitari del territorio finalizzati all’elaborazione condivisa di procedure per l’integrazione dei 7
servizi in ambito scolastico, l’utilizzo concordato e condiviso di risorse professionali e/o finanziarie e l’avvio
di progetti finalizzati al miglioramento del livello di inclusività delle scuole e alla prevenzione/contrasto del
disagio in ambito scolastico
2.3 Regolamento dei CTS
Ogni CTS si dota di un proprio regolamento in linea con la presente direttiva.
2.4 Organizzazione interna dei CTS
2.4.1 Il Dirigente Scolastico
I CTS sono incardinati in istituzioni scolastiche, pertanto il Dirigente della scuola ha la responsabilità
amministrativa per quanto concerne la gestione e l’organizzazione del Centro. Coerentemente con il suo
profilo professionale il Dirigente ha il compito – possibilmente previa formazione sulle risorse normative,
materiali ed umane in riferimento ai bisogni educativi speciali – di promuovere i rapporti del CTS con il
territorio e di garantirne il miglior funzionamento, l’efficienza e l’efficacia.
2.4.2 Gli Operatori. Équipe di docenti curricolari e di sostegno specializzati
In ogni CTS dovrebbero essere presenti tre operatori, di cui almeno uno specializzato sui Disturbi Specifici
di Apprendimento, come previsto dall’art. 8 del Decreto 5669/2011. Si porrà attenzione a che le competenze
sulle disabilità siano approfondite ed ampie, dalle disabilità intellettive a quelle sensoriali.
È opportuno individuare gli operatori fra i docenti curricolari e di sostegno, che possono garantire continuità
di servizio, almeno per tre anni consecutivi.
Gli operatori possono essere in servizio nelle scuole sede di CTS o in altre scuole, tuttavia anche in questo
secondo caso deve essere assicurato il regolare funzionamento della struttura.
Gli operatori sono tenuti a partecipare a momenti formativi in presenza (tale formazione viene riconosciuta a
tutti gli effetti come servizio) in occasione di eventi organizzati dagli stessi CTS o di iniziative a carattere
regionale e nazionale rilevanti in tema di inclusione, ma anche on line attraverso il portale nazionale di cui al
punto 2.4.6.
Inoltre, sempre nell’ottica di formare e dare strumenti operativi adeguati alle diverse problematiche nonché
di specializzare i docenti dell’équipe, gli USR provvedono a riservare un adeguato numero di posti per gli
operatori dei CTS nei corsi/master promossi dal MIUR.
Nel momento in cui un operatore formato ed esperto modifichi la sede di servizio e non possa pertanto
svolgere la propria attività nel CTS, verrà sostituito da un altro docente che sarà formato dagli operatori
presenti e da appositi corsi di formazione, anche in modalità e-learning, che saranno resi disponibili dal
MIUR e dagli Uffici Scolastici Regionali. La procedura per la sostituzione degli operatori avviene con le
stesse modalità della selezione del personale comandato. Si istituisce presso ogni Ufficio Scolastico
Regionale una commissione, all’interno della quale devono essere presenti alcuni operatori CTS.
2.4.3 Il Comitato Tecnico Scientifico
I CTS possono dotarsi di un Comitato Tecnico Scientifico al fine di definire le linee generali di intervento –
nel rispetto delle eventuali priorità assegnate a livello di Ministero e Ufficio Scolastico Regionale – e le
iniziative da realizzare sul territorio a breve e medio termine.
Il Comitato Tecnico Scientifico redige il Piano Annuale di Intervento di cui al punto 2.4.
Fanno parte del Comitato Tecnico Scientifico il Dirigente Scolastico, un rappresentante degli operatori del
CTS, un rappresentante designato dall’U.S.R., e, ove possibile, un rappresentante dei Servizi Sanitari. È
auspicabile che partecipino alle riunioni o facciano parte del Comitato anche i referenti CTI, i rappresentanti
degli Enti Locali, delle Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, nonché esperti in
specifiche tematiche connesse con le tecnologie per l’integrazione.
2.4.4 Referente regionale dei CTS
Per ogni regione gli operatori del CTS individuano un referente rappresentante dei CTS a livello regionale.
Tale rappresentante resta in carica due anni. 8
I referenti regionali dei CTS, in collaborazione con il referente per la Disabilità /DSA dell’Ufficio Scolastico
Regionale – possibilmente individuato tra personale dirigente e ispettivo – hanno compiti di raccordo,
consulenza e coordinamento delle attività, nonché hanno la funzione di proporre nuove iniziative da attuare a
livello regionale o da presentare al Coordinamento nazionale di cui al punto successivo.
2.4.5 Coordinamento nazionale dei CTS
Presso la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione del
MIUR è costituito il Coordinamento nazionale dei CTS.
Lo scopo di tale organismo è garantire il migliore funzionamento della rete nazionale dei CTS. Esso ha
compiti di consulenza, programmazione e monitoraggio, nel rispetto delle prerogative dell’Amministrazione
centrale e degli Uffici Scolastici Regionali, comunque rappresentati nel Coordinamento stesso.
Fanno parte del Coordinamento nazionale:
– Un rappresentante del MIUR
– I referenti per la Disabilità/DSA degli Uffici Scolastici Regionali
– I referenti regionali CTS
– Un rappresentante del Ministero della Salute
– Un rappresentante del Ministero delle politiche sociali e del lavoro
– Eventuali rappresentanti della FISH e della FAND
– Docenti universitari o esperti nelle tecnologie per l’integrazione.
Il Coordinamento nazionale si rinnova ogni due anni.
Il Comitato tecnico è costituito dal rappresentante del MIUR, che lo presiede, e da una rappresentanza di 4
referenti CTS e 4 referenti per la disabilità/DSA degli Uffici Scolastici Regionali.
2.4.6 Portale
Viene predisposto un portale come ambiente di apprendimento–insegnamento e scambio di informazioni e
consulenza.
All’interno del portale sono ricompresi i siti Handytecno ed Essediquadro, rispettivamente dedicati agli ausili
ed al servizio di documentazione dei software didattici.
È inoltre presente una mappa completa dei CTS e dei CTI, con eventuali siti ad essi collegati.
Una pagina web è dedicata alle Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, completa di
indirizzi e link ai vari siti, oltre ai link diretti alle sezioni del sito MIUR relative a disabilità e DSA.
Infine, sono previste le seguenti aree:
– formazione, con percorsi dedicati alle famiglie ed al personale della scuola, dove trovare video lezioni e
web conference oltre che materiale didattico in formato digitale;
– forum per scambi di informazioni tra operatori, famiglie, associazioni, operatori degli altri enti;
– News per le novità di tutto il territorio nazionale ed europeo, anche in collaborazione con la European
Agency for special needs education;
– un’Area Riservata per scambi di consulenze, confronti su problematiche, su modalità operative dove
trovarsi periodicamente.
Il portale rispetta i requisiti previsti dalla Legge n. 4/2004 sull’accessibilità dei siti web.
Roma, 27 dicembre 2012
IL MINISTRO
 f.to Francesco Profumo

Un bel contributo di marco Barone sui BES

In questi giorni i collegi docenti delle scuole italiane, con forte ritardo, affrontano e deliberano sul BES, i così detti bisogni educativi speciali introdotti dalla Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” ed applicato tramite la CIRCOLARE MINISTERIALE n. 8 Prot. 561 del 6 marzo 2013 .
Il BES avrebbe lo scopo di elaborare un percorso individualizzato e personalizzato per alunni e studenti con bisogni educativi speciali, anche attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato, individuale o anche riferito a tutti i bambini della classe con BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti ed abbia la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate. Le scuole – con determinazioni assunte dai Consigli di classe, risultanti dall’esame della documentazione clinica presentata dalle famiglie e sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico – possono avvalersi per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalle disposizioni attuative della Legge 170/2010 (DM 5669/2011).
I problemi ovviamente sono di varia natura, carico di lavoro aggiuntivo e non retribuito per i docenti, carenza di formazione del personale interessato che in sostanza rischia di rendere nullo quanto previsto per il BES, inevitabili ritardi nella didattica ordinaria ma anche uno strumento di “ricatto”, perché le disposizioni che riguardano il BES sono così generiche che in sostanza chiunque potrebbe essere identificato come tale e dunque difficilmente non ammissibile alla classe successiva.
Insomma si scarica ancora una volta tutta la responsabilità sulle spalle dei singoli docenti e lo Stato, in via teorica con i suoi principi cerca di tutelare l’immagine di quella integrazione che nella realtà non sarà mai tale per i motivi brevemente indicati in precedenza. Ma la mia attenzione cade ora su una problematica giuridica.
La certezza del diritto è ancora una volta rappresentata dalla sua incertezza ma anche, a parer mio, da una presunta, se non palese, violazione delle fonti giuridiche e di quello stato di diritto che dovrebbe caratterizzare ogni civiltà democratica.
La Direttiva del 27 dicembre 2012 e la Circolare applicativa del 6 marzo 2013 sono a rischio di illegittimità se non nullità , il problema tecnico, nel primo caso, è che sarebbero decaduti i tempi ordinari per impugnare gli atti presupposti ma non quelli consequenziali, tipo le delibere dei collegi docenti che attuano quanto normato e previsto in tema di BES, ma, come sempre accade, su questo punto, sulla impugnabilità dell’atto consequenziale per invocare l’ illegittimità dell’atto presupposto, la giurisprudenza non è univoca e neanche chiara.
All’interno della citata direttiva si legge che estende pertanto a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi enunciati dalla Legge 53/2003. (…) Al riguardo, la legge 53/2003 e la legge 170/2010 costituiscono norme primarie di riferimento cui ispirarsi per le iniziative da intraprendere con questi casi. Dunque si parla di ispirazione a principi enunciati da due fonti primarie di diritto. La Legge 53/2003 (Delega in materia di norme generali sull’istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale) all’articolo 2 (Sistema educativo di istruzione e di formazione) comma afferma che” I decreti di cui all’articolo 1 definiscono il sistema educativo di istruzione e di formazione, con l’osservanza dei seguenti principie criteri direttivi: a) e’ promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunita’ di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacita’ e le competenze, attraverso conoscenze e abilita’, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea”.
 Dunque la Direttiva del 27 dicembre 2012 e la conseguente Circolare del 6 marzo 2013 sarebbero in linea con il comma 2 , ma l’articolo 1 della medesima Legge rileva che “Al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’eta’ evolutiva, delle differenze e dell’identita’ di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione, il Governo e’ delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o piu’ decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale”. Mentre l’articolo 7 Disposizioni finali e attuative che “Mediante uno o piu’ regolamenti da adottare a norma dell’articolo 117, sesto comma, della Costituzione e dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, si provvede: a) alla individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attivita’ costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilita’ interni nell’organizzazione delle discipline;( omissis)”. La Legge 170/2010, richiamata dalla citata Direttiva e Circolare, riguarda, in via esclusiva, la problematica del DSA, infatti la la presente legge riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento, di seguito denominati «DSA», che si manifestano in presenza di capacita’ cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attivita’ della vita quotidiana.
Dunque una fattispecie diversa da quella del BES.

Cosa è accaduto? Che il MIUR con una Direttiva e Circolare, fonti di carattere secondario, che non hanno carattere legislativo ma solo amministrativo avendo come scopo quello disciplinare l’attività degli organi amministrativi dipendenti, onde assicurare unità di indirizzo e di coordinamento nell’attuazione dei loro compiti, hanno totalmente innovato la materia prevedendo funzioni, mansioni, attività, aggiuntive per il personale docente e per le scuole.

Deve essere detto, che dalla lettura incrociata dell’articolo 1 ed articolo 7 della Legge 53/2003, da cui il MIUR ha tratto ispirazione, per sua testuale ammissione, l’unico modo per introdurre il BES nelle scuole era e non  poteva che essere  o tramite Decreto Legislativo o Decreto Ministeriale od ovviamente Legge, ma non certamente tramite una Direttiva e Circolare. Dunque si è in presenza da un lato ad una chiara illegittimità delle due fonti secondarie di diritto perché innovative perché difettano per eccesso di potere, ma dall’altro, potrebbe emergere anche una nullità delle stesse, poiché vi sarebbe una mera incompetenza assoluta e di difetto di attribuzione oppure una carenza di potere in concreto del MIUR nell’adottare gli atti ivi previsti. Ma la cosa che deve indurre alla riflessione è anche un secondo concetto, questa materia, delicata e fondamentale per la scuola pubblica dell’integrazione, non può essere imposta dall’alto così come è accaduto. E’ necessaria una consultazione con le parti sociali. Tanto detto auspico una revoca del MIUR della Direttiva e della Circolare sul BES, cosa che può essere attuata anche in via di autotutela per i motivi esposti, per una questione di buon senso, per evitare eventuali danni erariali, ma, in particolar modo, per rispettare la dignità della Scuola pubblica e della sua comunità.

Marco Barone 

Un altro gioco epr apprendimento lettura e scrittura

UN GIOCO CARINO PER CLASSE PRIMA E PER BAMBINI CON DIFFICOLTA’ DI LETTURA

http://www.maestrantonella.it/DSA/pallina_per_sillaba.html

Gioco apprendimento lettura-scrittura

Un altro gioco carino sull’apprendimento lettura-scrittura. Mi sapete dire se lo provate e se funziona ?

http://www.maestrantonella.it/DSA/materiali_download/maestra_dice/maestradice.html

Più insegnanti di sostegno

Un numero adeguato di posti di sostegno nella scuola pubblica italiana, una continuità didattica degli insegnanti di sostegno nelle scuole, la garanzia dell’effettiva integrazione degli alunni con disabilità nella scuola italiana, dalla scuola dell’infanzia alla superiore. Perchè è attuale il modello d’integrazione proposto dalla legge 517 del 1977 che inseriva nelle classi di tutti gli alunni con disabilità. Poichè i tagli dei fondi ai Comuni ed alle Unità Sanitarie Locali indeboliscono l’azione di supporto alla scuola e l’intervento degli specialisti, ancora di più quindi occorre che si sostenga la buona integrazione, che aiuta sia il bambino o ragazzo con disabilità, sia gli altri bambini o ragazzi che si trovano a frequentare la scuola con lui.

Edilizia scolastica

L’edilizia scolastica italiana ha bisogno di molti aiuti, essendo che la maggioranza degli edifici scolastici ha superato i cinquant’anni. Ogni giorno le cronache locali, in giro per il paese, registrano cadute di soffitti e calcinacci, perdite d’acqua, infiltrazioni. A volte è messa in pericolo anche la sicurezza degli studenti, un tema sul quale pure si sono fatte meritorie campagne e migliaia di corsi d’aggiornamento per il personale. Anche il sovraffollamento di molte classi mette in discussione la sicurezza delle scuole. Eppure il contenitore dell’istruzione è importante per dare serenità a chi vi deve vivere ed operare, con tranquillità ed impegno:il rinnovamento e la manutenzione degli spazi pubblici sono un valore per tutti i cittadini, oltre che opportunità per creare e mantenere posti di lavoro, e quindi allontanare la crisi mantenendo accettabile il livello dei consumi. Come si finanziano ? Con la lotta all’ evasione fiscale e la tassazione delle rendite finanziarie

Circolare ministeriale ed altro sull’ADHD

Circolare ministeriale ed altro sugli Adhd
circolare per gli uffici scolastici regionali sull’ADHD 
Questo il testo della circolare emanata il 20/03/2012
Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali Loro Sedi

Oggetto: Piano Didattico Personalizzato per alunni con ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività).

Si fa seguito alla circolare n° 4089 del 15 giugno 2010, con la quale sono state fornite puntuali indicazioni riguardo alla integrazione scolastica degli alunni affetti da ADHD ( Disturbo da deficit di attenzione/iperattività ) e, al fine di agevolare ulteriormente gli operatori scolastici che si trovano ad affrontare le problematiche derivanti dalla presenza di tali alunni nelle classi, si richiama l’opportunità che ciascuna istituzione scolastica interessata rediga un Documento Personalizzato per gli alunni affetti da tale disturbo così come previsto per ì soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento ( DSA ).

Come è noto, infatti, la didattica personalizzata, anche sulla base di quanto indicato
nella Legge 53/2003 e nel Decreto legislativo 59/2004, calibra l’offerta didattica attraverso l’impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno. L’uso dei mediatori didattici, l’attenzione agli stili di apprendimento, la adozione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, si pongono nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo , anche con l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere.

II documento di cui sopra dovrebbe appunto contenere, oltre ai dati anagrafici dell’alunno, l’indicazione degli strumenti compensativi/dispensativi adottati nelle diverse discipline, al fine di garantire il successo formativo, nonché le modalità di verifica che si intendono adottare. Tale documento dovrà essere inoltre redatto entro il termine massimo del primo trimestre in collaborazione con la famiglia dell’ alunno e i Centri di diagnosi e cura per l’ADHD presenti sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità ovvero la Unità Sanitaria competente per territorio, e successivamente ridiscusso in corso d’anno per rivedere e riformulare il relativo piano didattico.

Si sottolinea infine l’esigenza che tale documentazione venga trasmessa dagli insegnanti al team docente dell’ordine di scuola successivo per garantire la continuità delle valutazioni e delle azioni da adottare,

Le segreterie didattiche sono incaricate di segnalare tempestivamente ai responsabili di classe ogni nuova certificazione /anche in corso d’anno, che documenti eventuale comorbilità.

Si ribadisce inoltre l’importanza, già rilevata con circolare prot.7373 del 17.11.2010 emanata dalla scrivente Direzione Generale, della precoce individuazione del disturbo a partire dalla Scuola dell’Infanzia, in modo da consentire alle istituzioni scolastiche di intervenire in modo adeguato aiutando il bambino a sostenere una buona scolarizzazione.

Si sarà grati alle SS.LL se vorranno curare la diffusione della presente nota circolare presso le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado di competenza.

Il Dirigente
Antonio Cutolo

Da Di.To.
Quando l’epilessia si associa all’ADHD
Una recente revisione firmata da pediatri italiani (Università romane “La Sapienza” e “Tor Vergata” e Università di Chieti), ha chiarito alcuni aspetti sull’associazione, segnalata fin dagli anni ’50, di epilessia e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Sono state ricercate sui principali archivi della letteratura scientifica le pubblicazioni indicizzate con i termini “epilessia” e “ADHD” o loro sinonimi che si riferivano a soggetti sotto i 18 anni.
Dal punto epidemiologico, è emerso che i bambini con ADHD hanno un rischio aumentato di convulsioni e, quando sottoposti ad elettroencefalogramma, nel 50-60% dei casi sono evidenti scariche epilettiformi. D’altra parte, nei bambini epilettici si osserva una frequenza di ADHD del 30-40%, assai superiore a quella della popolazione pediatrica generale.
Per spiegare l’associazione tra le due patologie sono state formulate varie ipotesi, come l’azione ripetuta delle convulsioni e delle scariche epilettiformi sullo sviluppo cerebrale, ma anche gli effetti dannosi dei farmaci anticonvulsivanti. Tuttavia l’ADHD precede talvolta l’insorgenza dell’epilessia. Probabilmente le malattie sono la manifestazione clinica di alterazioni neurobiologiche in parte comuni e ancora da chiarire. Gli studi diimaging, in genere con risonanza magnetica, hanno dimostrato anomalie strutturali, prevalenti a livello della corteccia prefrontale, ma presenti anche in altre zone del sistema nervoso centrale, compatibili per localizzazione con il quadro clinico dell’ADHD (scarsa attenzione, impulsività, carenza di pianificazione) e per caratteristiche con un’alterazione dello sviluppo cerebrale avvenuta nell’infanzia.
L’ADHD si associa a varie forme di epilessia, ma è più specifico di alcune, come l’epilessia del lobo frontale, il piccolo male dell’infanzia e l’epilessia rolandica e può precedere la comparsa delle convulsioni.
In caso di associazione tra epilessia e ADHD, un momento critico è il riposo notturno. La qualità del sonno può venire compromessa dalle convulsioni, determinando sonnolenza e deficit dell’attenzione nelle ore diurne, aggravando un disturbo preesistente e innescando un circolo vizioso di difficile controllo.
Un processo diagnostico accurato deve verificare nei bambini epilettici la compresenza dell’ADHD. Oltre all’ECG, può essere utile la polisonnografia, in grado di identificare tracciati caratteristici di entrambe le malattie.
Il trattamento dell’epilessia infantile in presenza di ADHD è molto impegnativo in quanto richiede l’associazione di più farmaci, spesso con interazioni pericolose o con effetti rilevanti sul decorso della comorbidità. Tipicamente alcuni farmaci indicati per l’ADHD possono peggiorare le convulsioni, mentre alcuni antiepilettici possono indurre modificazioni comportamentali e del tono dell’umore.
Da Famiglia Cristiana, don Enzo Sciortino
ADHD. È una sigla che si associa spesso a bambini eccessivamente turbolenti, impulsivi e ingestibili, a casa come a scuola. Un acronimo che mette in allarme parecchi genitori e insegnanti, generando molta confusione, incertezza e disagio, ma anche miti e false credenze. Sul fronte della diagnosi e dell’intervento, poi, non sempre gli esperti concordano e contribuiscono a fare chiarezza sulla sua gestione. E i bambini, allora? Quanti sono davvero afflitti da questo problema? Quanti sono vittime di diagnosi errate o superficiali? Da chi sono aiutati? Dalla scuola, dai servizi sociali? Esistono criteri in grado di fare luce con chiarezza sul disturbo? E la famiglia, viene coinvolta?

Un tentativo di chiarificazione del problema potrà essere di aiuto nello sciogliere alcuni dubbi e perplessità. Per aprire, in tal modo, uno spiraglio di luce sull’esistenza di tutti quei genitori, insegnanti, educatori che si trovano faccia a faccia ogni giorno ad affrontare questi disagi. Su una posizione netta e univoca nei confronti di cosa sia il disturbo da deficit di attenzione, è pressoché difficile riconoscersi e collocarsi oggigiorno. Sia per gli esperti sia per i genitori. Questi ultimi sempre più preoccupati e delusi dall’assenza di chiarezza a riguardo della diagnosi e della terapia di intervento.

Descrizione: http://www.famigliacristiana.it/allegati/2012/5/42-19628813_2804735.jpg
A complicare ulteriormente la situazione si è aggiunta, negli anni più recenti, la pubblicazione di numerosi studi specialistici che hanno messo in evidenza numerose caratteristiche dell’ADHD, non sempre in armonia tra loro: dalle cause neurologiche e genetiche, all’espressività comportamentale, alla complessità della diagnosi e delle terapie mirate. Pur rilevando il rigore, la qualità e il notevole ampliamento delle conoscenze, tuttaviaquesti lavori non hanno ancora condotto a un inquadramento condiviso dell’ADHD, delle sue cause e del suo trattamento. Diverse difficoltà, quindi, continuano a persistere. Soprattutto per i bambini e i loro genitori.

Di seguito, allora, daremo atto di alcuni dei dati presentati e discussi durante il convegno: Facciamo luce sull’ADHD. Come diagnosticare e gestire il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività nel bambino e nell’adulto, svoltosi a Milano lo scorso 18 aprile. Il nostro obiettivo è fare il punto sulla questione, coscienti di risultare parziali e non sempre esaustivi su una problematica davvero complessa e spesso fraintesa.

 di Giulia Riccio e Raffaele D’Errico
 
La vita familiare con un bambino affetto da  Deficit di Attenzione e iperattività non è delle più semplici e talvolta si creano vere e proprie disfunzioni sia personali, di coppia che familiari.
Compreso che il proprio bambino è affetto da una turba organica, bisognerà rendersi conto che la cosa più importante sarà quella di creare un ambiente che favorisca l’autoregolazione e la riflessività del bambino, dal momento che le sue difficoltà comportamentali consistono soprattutto nell’ impulsività, iperattività e deficit attentivo, con conseguente scarso autocontrollo.
Riteniamo, a tal proposito, che sia fondamentale rivolgersi al bambino non accavallando più pensieri ma esprimendo, con poche parole, un pensiero alla volta. Spesso è capitato che la nostra bambina, con fare disperato, dicesse: «Mamma, ma quante cose devo fare insieme?»
Ciò ci ha fatto riflettere sull’importanza, data la difficoltà intrinseca e peculiare nell’organizzazione del bambino, di dare un comando alla volta.
E’ inoltre importante che i genitori siano di supporto e di sostegno l’uno all’altro, anche nel confermare le richieste dell’altro genitore e nell’assicurarsi che esse vengano eseguite. Un ambiente severo e organizzato, con ritmi ordinari cadenzati, certamente aiuterà molto il bambino ad affrontare meglio le sue difficoltà.
C’è da dire che, almeno nel nostro caso, il supporto farmacologico è stato fondamentale per risolvere il problema della concentrazione, portando la nostra bambina da risultati insufficienti in seconda elementare, a risultati buoni nel primo quadrimestre della terza classe e distinti alla fine dell’anno scolastico. Questo ha accresciuto molto la sua autostima e l’ha resa più serena.
Naturalmente, non è un percorso semplice e per questo riteniamo fondamentale, pur comprendendo le difficoltà della bambina: 
 Essere fermi nei comandi ed assicurarsi che vengano eseguiti
 Ignorare gli atteggiamenti lievemente negativi 
 Punire severamente gli atteggiamenti molto negativi 
 Essere di esempio positivo 
 Evitare di essere noi stessi aggressivi nei comandi
 Evitare le punizioni corporali utilizzando, invece, tecniche del tipo: “Privare il bambino di qualcosa a lui particolarmente gradito” o “Obbligarlo a rimanere fermo per alcuni minuti” per riflettere sul suo atteggiamento
 Premiare e gratificare i comportamenti positivi anche se siamo arrabbiati con lui per altri motivi.
La strada certamente non è facile ed è irta di ostacoli, ma siamo certi che l’amore reciproco dei genitori e degli stessi nei confronti del bambino, la tenacia, la volontà di voler consentire al bambino di costruirsi un futuro sereno, l’aiuto di Dio nel quale fortemente crediamo, siano gli ingredienti per il superamento di qualsiasi difficoltà.
Un grosso aiuto, soprattutto in quelle forme di ADHD particolarmente impegnative per la presenza di manifestazioni psichiatrichelibro psicologia vio.JPG (58306 byte) associate (forme comorbide) o in quelle in cui la componente psicologica è fortemente intaccata, sarà reso dal “parent training” guidato da esperti psicologi.
Per un ulteriore approfondimento e chiarimento su questo capitolo, rimandiamo all’esaustivo testo scritto da Claudio Vio, Gian Marco Marzocchi e Francesca Offredi 
“Il bambino con Deficit di Attenzione/Iperattività” (Ed.Erikson), dal quale noi stessi abbiamo tratto spunto e del quale ringraziamo chi si è adoperato e continua a farlo al fine di migliorare la qualità della vita di questi bambini e di rendere un buon supporto 
ai genitori nella gestione di un compito tutt’altro che facile.


da Pediatric.it

Circa il 4% della popolazione pediatrica è affetta dalla 
Sindrome da deficit di attenzione e iperattività
ono alcuni di quei bambini che troviamo alle feste dei nostri figli, nei bus o sul treno, nelle scuole o per la strada e che si mostrano continuamente agitati, in continuo movimento, che non riescono a stare mai fermi, che si dimenano continuamente e che i genitori trovano grande difficoltà a tenere “buoni”. 
Quando, poi, iniziano a frequentare la scuola sono quei bambini che le insegnanti non vorrebbero mai tenere: si alzano continuamente dal loro posto, danno fastidio ai compagni, non riescono a svolgere i compiti assegnati e finiscono spesso per cambiare banco, classe e talvolta … scuola. Il loro profitto scolastico proprio per la ridotta capacità di concentrazione è spesso scarso o comunque sufficiente e difficile è il loro rapporto con i coetanei, ma anche con gli adulti per la grande impulsività. La loro difficoltà viene percepita dai genitori e dagli insegnanti ma spesso, nel nostro paese, la diagnosi viene completamente misconosciuta.
In realtà questi bambini non hanno nessuna colpa, né tanto meno i loro genitori che invece vengono spesso additati come incapaci a svolgere bene il proprio ruolo di educatori. Se il bambino risponde ad una serie di criteri clinici ben definiti dal mondo scientifico la loro è una vera patologia organica e come tale meritevole di una precisa terapia. Solo con l’ausilio di  una giusta terapia i bambini cambieranno radicalmente il loro modo di vivere e tutti, genitori, insegnati, compagni ma soprattutto il bambino, potranno finalmente cogliere la bellezza di una vita “normale”.
.
Il bambino iperattivo con deficit di attenzione
Gennaio 2001
.
Davide ha 8 anni fa la terza elementare ed è un “terremoto”: basta un non nulla per distrarlo. Il suo comportamentoiperattivo e deconcentrato che manifestava da anni è oggi un problema concreto, ai limiti dell’handicap. Il suo comportamento è pressoché ingestibile.In classe è sempre fuori posto,impulsivo, si atteggia a buffone della classe. Se non è impegnato in lotte e litigi coi compagni si barcamena socialmente come buffone della classe; è deriso, evitato e spesso, nonostante il suo comportamento clownesco, mostra disappunto e tristezza.
Davide sembra apprendere con notevole difficoltà nelle aree verbali, lettura in particolare; ha risultati migliori in matematica, ginnastica, arte e disegno.
Incontra enormi difficoltà nel completare autonomamente un compito; si dimentica spesso di quanto aveva programmato di fare anche se intendeva farlo. Quando inizia un progetto, gioco o incarico, quasi mai lo porta a termine.
Nonostante Davide sia appassionato di sport in cui vorrebbe eccellere ha difficoltà di coordinazione ed è impulsivo e distraibile, così da essere un giocatore poco desiderabile.
Le insegnanti e i genitori, preoccupati e frustrati dal fallimento delle tradizionali misure già messe in atto (richiamare, sgridare, stimolare il bambino), richiedono un intervento inerente al comportamento, apprendimento e umore di Davide.
Questo caso ci da l’idea di cosa sia un “Bambino Iperattivo con Deficit dell’Attenzione”(ADHD), un vero e proprio disturbo neuropsichiatrico caratterizzata da:
Torna su
ADHD e i problemi di condotta                                                                    
I problemi di condotta (il “bambino onnipotente”) rappresentano una delle più frequenti patologie con cui si confronta oggi il Pediatra di famiglia (V. Nuzzo 2001). Essi sono condizionati da complessi fattori psico-sociali ed antropologici che caratterizzano fortemente la condizione del bambino e della famiglia moderna.
E’ importante sottolineare che molti dei disturbi di condotta evidenti nei bambini si associano a “iperattività” cioè a un controllo inadeguato dell’attività motoria.
I motivi ambientali, però, non spiegano tutti i casi di disturbo di condotta con iperattività, dal momento che esiste un gruppo di soggetti che presentano un disturbo organico (cioè una vera e propria malattia) dei meccanismi di controllo dell’attenzione e che secondariamente porta ad un insufficiente controllo dell’attività motoria: il “Disturbo da Deficit di Attenzione” (ADDAttention Deficit Disorder nella letteratura di lingua inglese, ADSAufmerksamkheitsdefizit Störung nella letteratura di lingua tedesca) e meglio conosciuto  come Disturbo di Attenzione con Iperattività” (ADHD nella letteratura anglosassone, DDAI, nella letteratura italiana).
La condizione clinica, quindi, che meglio permette di definire il problema non è l’iperattività, ma ilDisturbo di Concentrazione (DC), meglio definito come “Disturbo dell’Attenzione” .
Torna su
ADHD: una sindrome ben definita 
La proposta di una sindrome così ben definita si affaccia in Italia dopo la pubblicazione negli Stati Uniti – circa venti anni fa – del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM III, che definiva le caratteristiche cliniche di questo disordine. Le critiche iniziali, però, furono così marcate in Italia, come in altri Paesi, da impedire la diffusione della conoscenza organica dell’ADHD. Basti pensare che nel 1978 la casa editrice Feltrinelli pubblicava la traduzione italiana di un libro di Schrag e Divoky dall’eloquente titolo “Il mito del bambino iperattivo”. Ciò nonostante, il problema era così sentito che in questi ultimi vent’anni numerosi progressi scientifici sono stati fatti, soprattutto in America, sulla comprensione dell’ADHD.
Sebbene il problema sia stato ormai ben identificato e delineato nella letteratura internazionale e, quindi, diagnosticato e trattato da molti pediatri e neuropsichiatri, nel nostro paese esso è stato finora trattato in modo non sufficientemente demarcato (Levi e Penge 1996) dalla cosiddetta“Sindrome da iperattività”, termine generico che si riferisce ad una costellazione sintomatologica etio-patogeneticamente disomogenea, che contiene una serie svariata di disturbi organici o funzionali dei meccanismi di controllo dell’attività, alla cui base, spesso, esistono deviazioni dei meccanismi psico-emotivi, sconfinanti in veri e propri disturbi di personalità.
La conseguente caratterizzazione psico-patologica del problema ha fatto sì che esso restasse lontano non solo da una prospettiva diagnostica e terapeutica adeguata alla sua vera natura ma anche dall’interesse da parte del vasto pubblico di pediatri, insegnanti e genitori che avrebbe, invece, meritato di conoscere un problema di così grande portata sociale, per la sua elevata diffusione nella popolazione infantile.
A partire dagli anni quaranta, gli psichiatri hanno utilizzato molti nomi per definire i bambini caratterizzati da iperattività e da una disattenzione e impulsività fuori della norma. Questi soggetti sono stati considerati affetti da “Minima disfunzione cerebrale”, da “Sindrome infantile da lesione cerebrale”, da “Reazione ipercinetica dell’infanzia”, da “Sindrome da iperattività infantile”e, più recentemente, da “Disturbo dell’attenzione”. I frequenti cambiamenti nelle definizioni rispecchiano l’incertezza che hanno avuto i ricercatori sulle cause del disturbo e perfino su quali fossero esattamente i criteri diagnostici.
Torna su
Determinante genetica 
Da diversi anni, però, i ricercatori che si occupano di ADHD hanno iniziato a metterne in luce sintomi e cause e hanno trovato che il disturbo può avere una causa genetica. Attualmente, le teorie in proposito sono molto diverse da quelle che andavano per la maggiore anche solo pochi anni fa. I ricercatori stanno chiarendo che l’ADHD non è un disturbo dell’attenzione in sé – come si era a lungo ritenuto – ma nasce da un difetto evolutivo nei circuiti cerebrali che stanno alla base dell’inibizione e dell’autocontrollo. A sua volta, questa mancanza di autocontrollo pregiudica altre importanti funzioni cerebrali necessarie per il mantenimento dell’attenzione, tra cui la capacità di posticipare le gratificazioni immediate in vista di un successivo e maggiore vantaggio. Insomma, questi bambini sono quelli che preferiscono l’uovo oggi alla gallina domani!
I bambini affetti da ADHD, pertanto, non riescono a controllare le loro risposte all’ambiente. E’ come se in questo momento che state leggendo veniste bombardati da tanti altri eventi disturbanti, come la televisione accesa, i vostri figli che gridano fuori la stanza, il telefono che squilla e voi non riusciste ad annullare tutti questi stimoli per focalizzare la vostra attenzione solo su quello che state facendo e che vi interessa tanto. Se non aveste questa capacità di “filtrare” gli stimoli e “prestare attenzione” comincereste a sentirvi agitati perché vi rendereste conto di non riuscire nel vostro intento. Pensate se poi l’attenzione vi venisse richiesta per cose non tanto gradite, come studiare una pagina di storia medioevale, cosa fareste?  
Ebbene, questa mancanza di controllo rende i bambini ADHD:
disattenti, iperattivi e impulsivi.
I sintomi centrali dell’ADHD, quindi, sono essenzialmente caratterizzati da un marcato livello di disattenzione e una serie di comportamenti -secondari- che denotano iperattività e impulsività.
Torna su
La realtà clinica dell’ADHD 
Nella loro realtà clinica questi sintomi si organizzano e si manifestano con una serie di aspetti complessi, nell’ambito dei quali non devono mai essere persi di vista.
Andranno quindi sempre distinti:
1)  Sintomi puri (“core symptoms”);
2)  Profili sintomatologici specifici (aggressività, disturbo socialità, immaturità, isolamento)
3)  Problemi comportamentali associati (di cui il più frequente è quello opposizionale, definito come “Oppositional Defiant Disorder”, ODD)
Torna su
ADHD: un problema marginale? 
L’ADHD non è affatto un problema raro, anzi appare – nell’ambito dei problemi di condotta – uno dei principali problemi della dimensione infantile moderna, un vero e proprio problema medico-sociale dal momento che è:
Torna su
La prevalenza 
La prevalenza dell’ADHD varia molto, secondo gli strumenti utilizzati e le realtà socio-antropologiche in cui viene studiata. I soggetti colpiti comunque sono numerosissimi in tutto il mondo. Ovunque adeguatamente ricercato il disturbo in età scolastica mostra una prevalenza intorno al 4%
L’ADHD è stato identificato dai ricercatori in tutte le nazioni e in tutte le culture studiate. Il disturbo è maggiormente rappresentato nel sesso maschile secondo un rapporto che va da 3 a 9 maschi ogni femmina, a seconda delle ricerche, forse perché i maschi, secondo Barkley, sono geneticamente più soggetti alle malattie del sistema nervoso.
Va rilevato che gli strumenti di screening utilizzati per un primo orientamento diagnostico (DSM-III-R e DSM-IV) sovrastimano il problema, perché lo confondono con il capitolo più ampio dei disturbi di condotta. Nella stima estrema, la prevalenza si ridurrebbe dal 18 al 3.9 %, dopo la valutazione con modelli diagnostici di secondo livello.
Torna su
Quanto dura? 
L’ADHD non è un problema marginale che si risolve con l’età. Contrariamente, infatti, a quanto si riteneva un tempo la condizione può persistere in età adulta
La sua storia naturale, infatti, è caratterizzata da persistenza fino all’adolescenza in circa due terzi dei casi e fino all’età adulta in circa un terzo o la metà dei casi. E molti di quelli che non rientrano più nella descrizione clinica dell’ADHD hanno ancora significativi problemi di adattamento nel lavoro, a scuola o in altri contesti sociali.
L’ADHD, infatti, significativamente si associa a disturbi dell’adattamento sociale (personalità antisociale, alcoolismo, criminalità), basso livello accademico ed occupazionaleproblemi psichiatrici, fino ad essere considerato uno dei migliori predittori, in età infantile, di cattivo adattamento psicosociale nell’età adulta. Anche se sembra che questo sia patrimonio più delle forme comorbide che delle forme semplici e delle forme con disturbi neuro-psicologici, e sia strettamente dipendete dal contesto evolutivo in cui cresce il bambino con ADHD, è la persistenza stessa dell’ADHD a rappresentare il fattore di peggior prognosi psicosociale, indicando che maggiormente perdurano gli effetti del disturbo più profondo è il loro influsso sullo sviluppo psico-emotivo.
Torna su
Forma comorbida, prognosi peggiore 
Le forme comorbide sono più correlate ad una serie di profili sintomatologici negativi per quanto riguarda il rapporto con l’ambiente, con veri e propri profili psichiatrici e, quindi, hanno una peggiore prognosi. 
Le correlazioni più frequenti sono con:
  • Disturbi di Condotta (CD): aggressività, ansietà, psico-patologia materna, bassa auto-stima;
  • Disturbo Opposizionale (ODD): deprivazione sociale, basso rendimento scolastico, bassa competenza sociale.
Tutto questo è dovuto, purtroppo, al fatto che i soggetti affetti da ADHD manifestano nel tempo dei sintomi secondari che si pensa siano il risultato dell’interazione tra le caratteristiche proprie del disturbo con l’ambiente scolastico, sociale, familiare in cui il bambino si trova inserito. Basti pensare che il 58% degli studenti affetti da ADHD ha subito almeno una bocciatura durante la propria carriera scolastica (Cantwell e Satterfield 1978), insuccessi che sono attribuiti al loro deficit cognitivo (Marzocchi et al. 1999), alla loro scarsa motivazione (Van De Meere 1998) o alla comorbilità con i disturbi dell’apprendimento scolastico che possono essere presenti nel 50% dei bambini ADHD (Lambert e Sandoval 1980). 
Per conoscere altro sulle comorbilità clicca qui
Torna su
Problemi relazionali 
Per quanto riguarda i problemi relazionali, i genitori, gli insegnanti e gli stessi coetanei concordano che i bambini con ADHD hanno anche problemi nelle relazioni interpersonali(Pelham e Millich 1984). Vari studi di tipo sociometrico hanno confermato che bambini affetti da deficit di attenzione con o senza iperattività:
  • ricevono minori apprezzamenti e maggiori rifiuti dai loro compagni di scuola o di gioco(Carlson et al, 1987);
  • pronunciano un numero di frasi negative nei confronti dei loro compagni dieci volte superiori rispetto agli altri;
  • presentano un comportamento aggressivo tre volte superiore (Pelham e Bender, 1982);
  • non rispettano o non riescono a rispettare le regole di comportamento in gruppo e nel gioco;
  • laddove il bambino con ADHD assume un ruolo attivo riesce ad essere collaborante, cooperativo e volto al mantenimento delle relazioni di amicizia;
  • laddove, invece, il loro ruolo diventa passivo e non ben definito, essi diventano più contestatori e incapaci di comunicare proficuamente con i coetanei.
Gli inevitabili fallimenti che il bambino ADHD accumulerà nella sua esperienza di vita – sociali, scolastici e familiari – favoriranno, inevitabilmente, lo sviluppo di tratti oppositivi e provocatori che rappresenteranno un aspetto molto problematico dell’ADHD, dal momento che questi tratti saranno i predittori di prognosi infauste: i ragazzi, infatti, che manifestano comportamento da deficit di attenzione/ iperattività e aggressività, saranno più a rischio di altri nello sviluppare comportamenti devianti, nell’incorrere in problemi con la giustizia o nell’uso di alcool e/o sostanze stupefacenti (Taylor et al 1996).
Torna su
Capire le cause… 
Per poter aiutare i bambini (e gli adulti) colpiti da ADHD, gli psichiatri e gli psicologi devono capire meglio le cause del disturbo. Negli ultimi dieci anni, alcuni studi fondati sulle modernetecniche di elaborazione di immagini hanno indicato quali potrebbero essere le regioni cerebrali il cui cattivo funzionamento spiegherebbe i sintomi dell’ADHD. Stando a questi lavori, sembrerebbero coinvolti la corteccia pre-frontaleparte del cervellettoe almeno due gangli della base, ammassi di cellule nervose situati nelle profondità del cervello.
In uno studio del 1996,Castellanos e Rapoport e i loro colleghi del National Institute of Mental Health, hanno scoperto che la corteccia pre-frontale destra e due gangli basali, il nucleo caudato e il globo pallido, sono significativamente meno estesi del normale nei bambini affetti da ADHD.
Agli inizi del 1998, il gruppo di Castellanos ha trovato che in questi bambini anche il verme del cervelletto è di dimensioni inferiori alla norma.
Le informazioni fornite dalle immagini sono significative perché le aree cerebrali di dimensioni ridotte nei soggetti affetti da ADHD sono proprio quelle che regolano l’attenzione. La corteccia pre-frontale destra, per esempio, è coinvolta nella programmazione del comportamento, nella resistenza alle distrazioni e nello sviluppo della consapevolezza di sé e del tempo. Il nucleo caudato e il globo pallido agiscono interrompendo le risposte automatiche per consentire una decisione più accurata da parte della corteccia e per coordinare gli impulsi che attraverso i neuroni raggiungono le diverse regioni della corteccia. L’esatto ruolo del verme del cervellettonon è stato ancora chiarito, ma indagini recenti fanno ritenere che abbia a che fare con l’essere più o meno motivati.
Torna su
Malattia genetica? 
Da che cosa deriva la ridotta dimensione di queste strutture cerebrali nei soggetti affetti da ADHD? Molti studi sembrano avvalorare l’ipotesi che il fenomeno possa essere dovuto a una disfunzione di alcuni dei numerosi geni che normalmente sono attivi durante la formazione e lo sviluppo della corteccia pre-frontale e dei gangli basali. La maggior parte dei ricercatori attualmente pensa che l’ADHD sia un disturbo poligenico, ossia determinato dal concorso di più geni.
Le prime indicazioni sull’origine genetica dell’ADHD sono venute da ricerche condotte sulle famiglie dei bambini affetti dal disturbo. Per esempio, si è osservato che i fratelli e le sorelle di bambini con ADHD hanno una probabilità di sviluppare la sindrome da 5 a 7 volte superiore a quella dei bambini appartenenti a famiglie non colpite. E i figli di un genitore affetto da ADHD hanno fino a cinquanta probabilità su cento di sperimentare le stesse difficoltà.
La prova più conclusiva del contributo genetico all’ADHD, però, viene dallostudio sui gemelli. Nel 1992, Jacquelyn I. Gillis, allora all’Università del Colorado, e suoi colleghi scoprirono che il rischio di ADHD in un gemello monozigote di un bambino affetto dal disturbo è tra 11 e 18 volte superiore a quello di un fratello non gemello di un bambino con ADHD; si valuta che tra il 55 e il 92% di gemelli monozigoti di bambini affetti da ADHD finisca con sviluppare la sindrome.
Uno dei più ampi studi sull’ADHD relativo a gemelli fu condotto da Helene Gjone e Jan M. Sundet dell’Università di Oslo, insieme con Jim Stevenson dell’Università di Southampton in Inghilterra. Coinvolgeva 526 gemelli monozigoti, che ereditano esattamente gli stessi geni, e 389 gemelli eterozigoti, la cui somiglianza genetica è analoga a quella di fratelli nati a distanza di anni. Il gruppo di ricerca scoprì che l’ADHD è ereditario quasi all’80%, cioè che circa l’80% delle differenze nell’attenzione, nell’iperattività e nell’impulsività tra persone affette da ADHD e persone sane può essere spiegato da fattori genetici.
Torna su
Anche fattori non genetici? 
I fattori non genetici che sono stati collegati all’ADHD includono la nascita prematural’uso di alcool e tabacco da parte della madrel’esposizione a elevate quantità di piombo nella prima infanzia e le lesioni cerebrali – soprattutto quelle che coinvolgono la corteccia pre-frontale. Presi insieme, tuttavia, questi fattori possono spiegare dal 20 al 30% dei casi di ADHD tra i maschi, e ancora di meno tra le femmine. Contrariamente alla convinzione popolare, non si è travata alcuna significativa correlazione tra ADHD e metodi educativi o fattori dietetici, come la quantità di zucchero consumata dai bambini. 
Nel 1975 Feingold avanzò l’ipotesi e dimostrò, poi, conducendo alcune ricerche di discutibile rigorosità metodologica, che l’iperattività fosse una reazione di tipo tossica e/o allergica ai coloranti e ai conservanti contenuti in numerosi cibi di cui i bambini, durante gli anni della scuola, fanno largo uso e che l’esclusione dalla loro dieta migliorava sensibilmente il loro comportamento. In realtà, i suoi risultati non sono stati confermati e una seria dieta sembra realisticamente difficile da realizzare.  Inoltre, poiché molti bambini con allergie non presentano ADHD e molti bambini con ADHD non hanno allergie è necessario essere molto cauti nel trarre facili conclusioni. Potrebbe esistere un sottotipo di soggetti iperattivi che presentano intolleranze alimentari e/o allergie a causa di un irregolare funzionamento del SNC che determina anche una scarsa regolazione del livello di attenzione (Marshall 1989).
L’ambiente non ha importanza decisiva nella genesi del disturbo di concentrazione, come per altri disturbi di condotta a base emotivo-educazionale, tuttavia l’esperienza esistenziale del bambino con Disturbo di Concentrazione, caratterizzato da “insuccessi” e frustrazioni nel campo relazionale, sociale e scolastico, potrà determinare disturbi comportamentali secondari su base psico-emotiva, che spesso accentuano e confondono gli stessi sintomi di iperattività e impulsività con cui il disturbo si presenta. In questo senso, la patogenesi dell’intero sistema di sintomi dell’ADHD si può considerare effetto della confluenza di fattori neuro-biologici e psicosociali, mediata da un disturbo dello sviluppo cognitivo-emotivo che assume un ruolo centrale.
Torna su
I geni per la dopamina 
Forse determinanti sono quei disturbi che agiscono sul modo con cui il cervello utilizza la dopamina, una sostanza che funziona da neurotrasmettitore, trasportando segnali chimici da una cellula nervosa a un’altra. 
La dopamina è secreta dai neuroni in particolari zone del cervello per inibire o modulare l’attività di altri neuroni, in particolare di quelli coinvolti nell’emozione e nel movimento. I disturbi del movimento nel morbo di Parkinson, per esempio, sono provocati dalla morte di neuroni produttori di dopamina in una formazione del cervello, la substantia nigra, che si trova al di sotto dei gangli basali.
Alcuni studi molto convincenti mettono in particolare evidenza il ruolo svolto dai geni che impartiscono le istruzioni per la produzione dei recettori e dei trasmettitori della dopamina: questi geni sono molto attivi nella corteccia pre-frontale e nei gangli basali. I recettori della dopamina si trovano sulla superficie di alcuni neuroni. La dopamina trasporta il suo messaggio a questi neuroni legandosi ai recettori. I trasportatori di dopamina si protendono dai neuroni che secernono il neurotrasmettitore e recuperano la dopamina inutilizzata in modo che possa essere usata di nuovo. Mutazioni nel gene per il recettore della dopamina possono rendere i recettori meno sensibili alla dopamina. Al contrario, mutazioni nel gene per il trasportatore della dopamina possono rendere eccessivamente attivi i trasportatori facendo in modo che essi eliminino la dopamina secreta prima che essa abbia la possibilità di legarsi agli specifici recettori situati su un neurone adiacente.
Nel 1995, Edwin H. Cook e i suoi colleghi dell’Università di Chicago resero noto che i bambini affetti da ADHD avevano una maggiore probabilità di presentare una particolare variante del gene (SLC6A3) per il trasportatore (carrier responsabile del trasporto transneuronale e del re-uptake) della dopamina DAT1. Analogamente, nel 1996, Gerald J. LaHoste dell’Università della California e Irvine e i suoi collaboratori osservarono che nei bambini affetti da ADHD era particolarmente abbondante una variante del gene per i recettori di dopamina D2 e D4, il cui polimorfismo giustificherebbe le varianti cliniche dell’ADHD.
Non sussistendo una sufficiente concentrazione di neurotrasmettitori che garantisca un adeguato trasporto del segnale nervoso, si verifica essenzialmente un’alterazione della funzione di blocco della reazione agli impulsi sensoriali e di selezione di questi in vista della scelta di adeguati handlings. La conseguenza è che il bambino con Disturbo di Concentrazione non sarà in grado di reagire agli stimoli ambientali attraverso un’adeguata scelta e graduazione del repertorio motorio e comportamentale.
In definitiva, si potrebbe affermare che i difetti genetici e di struttura cerebrale osservati nei bambini affetti da ADHD portano ai comportamenti caratteristici del disturbo dell’attenzione associato a iperattività riducendo la capacità di inibire comportamenti inadeguati e di autocontrollo, il che – a giudizio di Barkley – è il deficit centrale nell’ADHD.
Torna su
L’autocontrollo 
L’autocontrollo – ossia la capacità di inibire o di posporre le immediate risposte motorie (e forse emotive) a un evento – è fondamentale per l’esecuzione di qualsiasi compito. Crescendo, la maggior parte dei bambini matura la capacità di impegnarsi in attività mentali, le funzioni esecutive, che li aiutano a vincere le distrazioni, a ricordare gli obiettivi e a compiere i passi necessari per raggiungerli. Per conseguire un obiettivo nel lavoro o nel gioco per esempio, bisogna essere in grado di ricordare lo scopo (retrospezione), di chiarirsi ciò che serve per raggiungere quell’obiettivo (previsione), di tenere a freno le emozioni e di motivarsi. Se una persona non riesce ad evitare l’interferenza di pensieri e impulsi, nessuna di queste funzioni può essere portata a termine con successo.
Nei primi anni, le funzioni esecutive sono svolte in modo esterno: avviene che i bambini parlino tra sé ad alta voce richiamando alla mente un compito o interrogandosi su un problema. Via via che maturano, i bambini imparano a interiorizzare, a rendere private, le funzioni esecutive, impedendo ad altri di conoscere i loro pensieri. 
I soggetti con ADHD, invece, appaiono privi del “freno” necessario per inibire l’esecuzione davanti a tutti delle “funzioni esecutive”. 

Una interessante “lista” di istruzioni sull’Adhd (dott. Pamela Kvilekval)

ADHD: Strategie scolastiche

Strategie scolastiche che permettono di mantenere l’attenzione e l’attività del bambino ADHD entro limiti accettabili

Si ringrazia la Dr.ssa Pamela Kvilekval che ha curato la traduzione di queste “strategie scolastiche”.

La capacità di apprendimento e un appropriato comportamento scolastico dipendono dall’abilità del bambino ad orientarsi, a mantenere l’attenzione e a mantenere la sua attività entro certi livelli per un determinato periodo di tempo.

ACCORGIMENTI PER CONTENERE UN’ECCESSIVA ATTIVITA’

Non tentare di ridurre l’attività, ma incanalarla ed utilizzarla per accettabili finalità. 1. Dare incarichi che permettano il movimento controllato nella classe per fini non distruttivi. 2. Permettere di stare in piedi di fronte al proprio posto, specialmente in prossimità della fine del compito.

Usare l’attività come un premio. 1. Dare il permesso per una attività (es. dare incarichi come portare un messaggio a qualcuno, pulire la lavagna, mettere a posto i libri della cattedra, sistemare le sedie) quale riconoscimento individuale di un suo successo.

Usare l’attività come risposta alle istruzioni. 1. Usare metodi di insegnamento che incoraggino la risposta attiva (es. parlare, muoversi, organizzarsi, lavorare alla lavagna). 2. Incoraggiare a tenere un diario dove scrivere, colorare ed altro. 3. Insegnare al bambino a fare domande pertinenti.

ACCORGIMENTI PER CONTENERE L’INCAPACITA’ DI ATTENDERE (IMPULSIVITA’ )

Non chiedere al bambino di aspettare, ma dargli un sostituto verbale o una risposta motoria da compiere durante l’attesa, e, quando possibile, nel frattempo incoraggiare il suo fantasticare. 1. Istruire il bambino a continuare una parte più facile del suo compito (o a farne uno sostitutivo) nell’attesa dell’aiuto dell’insegnante. 2. Insegnare al bambino ad affrontare in un test per prime le risposte a lui note. 3. Abituare il bambino a sottolineare o a riscrivere le domande prima di cominciare, oppure a colorarne, con un evidenziatore, le parti più rilevanti. 4. Incoraggiare il bambino a scarabocchiare o a giocare con la gomma, col segnalibro o con la matita mentre aspetta o sta ad ascoltare delle istruzioni. 5. Incoraggiarlo a prendere appunti (anche se solo per poche parole, quelle che lui reputa le più importanti ) .

Incoraggiare il bambino a tirare fuori le sue capacità positive di leadership invece di fraintendere la sua incapacità di attendere come impazienza o prepotenza. 1. Suggerire o rinforzare altri ruoli (es. fare il capofila, distribuire i fogli). 2. Per i bambini che sempre interrompono, insegnare loro come riconoscere le pause nella conversazione e come non perdere il filo del discorso. 3. Indicare al bambino quando serve un maggior autocontrollo per una specifica attività. 4. Insegnare e rinforzare le convenzioni sociali (es. buongiorno, ciao, per favore, grazie) .

ACCORGIMENTI PER EVITARE LA CADUTA DELL’ATTENZIONE DURANTE I COMPITI E NELLE ATTIVITA’

Diminuire la lunghezza del compito. 1. Dividere il compito in parti più piccole che possano essere completate in diversi momenti. 2. Dare due compiti, facendo svolgere prima quello che piace di meno al bambino, e poi il suo preferito. 3. Far fare pochi esercizi alla volta. 4. Nel presentare il compito usare un linguaggio preciso e globale. 5. Parcellizzare il compito da memorizzare invece di presentarlo nella sua globalità.

Rendere i compiti più interessanti. 1. Permettere di lavorare in coppia, in piccoli gruppi. 2. Alternare compiti molto interessanti ad altri meno interessanti. 3. Usare proiettori da parete durante le spiegazioni. 4. Far sedere il bambino vicino alla maestra.

Cercare le novità, specialmente alla fine di un lungo compito. 1. Trasformare in gioco la correzione dei compiti. 2. Trasformare in gioco il ripasso mnemonico.

Non incoraggiare o rinforzare il giudizio di “bella addormentata”, ossia se il bambino guarda fuori dalla finestra o ad un altro bambino non significa perciò che sia disattento. Purché il suo comportamento non sia di disturbo, non pretendere da lui una quiete assoluta che non sempre coincide con una reale attenzione.

ACCORGIMENTI PER EVITARE LA MANCANZA DI PARTECIPAZIONE E L’INCOSTANZA NEL TERMINARE I COMPITI

Andare incontro alle scelte ed agli specifici interessi del bambino nei compiti. 1. Permettere, entro certi limiti, la scelta del compito, dell’argomento, dell’attività. 2. Capire le preferenze del bambino ed usarle come incentivo. 3. Attirare l’attenzione del bambino al compito.

Assicurarsi che i compiti coincidano con le capacità di apprendimento del bambino e con le sue attitudini. 1. Permettere modalità alternative di risposte (es. scritte a macchina, con il computer, registrate a voce). 2. Alternare il livello di difficoltà del compito. 3. Assicurarsi che il mancato svolgimento di un compito non dipenda dalla disorganizzazione.

ACCORGIMENTI PER SUPERARE LA DIFFICOLTA’ AD INIZIARE UN COMPITO

In generale aumentare la strutturazione e l’importanza delle parti più rilevanti di un compito o delle convenzioni sociali. 1. Predisporre l’attenzione del bambino alle richieste orali (es. dandogli anche delle istruzioni scritte, permettendogli di prendere appunti). 2. Dare una struttura precisa ai compiti ed ai test (es. usare fogli a quadretti per la matematica, stabilire degli standard per i compiti, essere il più specifici possibile).
3. Inquadrare la struttura globale del compito (es. le domande fondamentali, il percorso da compiere, le tavole del contenuto). 4. Permettere il lavoro in coppia o in piccoli gruppi purché a bassa voce. 5. Colorare, cerchiare, sottolineare, o riscrivere le istruzioni od i punti più difficili.

ACCORGIMENTI PER COMPLETARE IN TEMPO I COMPITI ASSEGNATI

Incrementare l’organizzazione del lavoro con l’uso di liste, diari, quaderni di appunti, cartelline. 1. Assegnare i compiti al bambino scrivendoli su agendine tascabili. 2. Scrivere i compiti assegnati sulla lavagna ed assicurarsi che li abbia copiati.

Stabilire le consuetudini per quanto riguarda l’uso dei materiali della classe e per il vestiario. 1. Aiutare il bambino ad organizzare, con l’uso di raccoglitori, i compiti già fatti e quelli da svolgere; lo stesso vale per gli appunti presi in classe per mantenerli in ordine cronologico. 2. Spingere i genitori a stabilire in casa consuetudini giornaliere su come riporre i libri ed usare il materiale scolastico. 3. Aiutare il bambino a tenere in ordine il banco organizzandogli lo spazio.

Organizzare il suo ambiente con divisori e materiali colorati. 1. Insegnare al bambino l’abitudine di porsi delle domande prima di iniziare qualcosa o di lasciare un luogo (es. “Ho tutto quello che mi serve ? ” )  2. Scrivere promemoria da mettergli sul banco, sui libri, sul diario. 3. Incrementare la programmazione sequenziale del pensiero.

Esercitarsi alla programmazione. 1. Programmare le differenti attività (di cosa si ha bisogno, come dividere i compiti in più parti) 2. Prevedere il tempo necessario per ogni singola attività. 3. Insegnare strategie per studiare.

Usare classificazioni, divisioni logiche, ripartizioni. 1. Insegnare l’uso di sistemi di scrittura col computer per riordinare le idee. 2. Insegnare al bambino a prendere note divise in tre colonne quando ascolta le spiegazioni o legge il materiale (punti principali, punti di supporto, domande)

ACCORGIMENTI PER OVVIARE AD UNA SCARSA ABILITA’ MANUALE ALLA SCRITTURA

Ridurre la necessità di scrittura manuale. 1. Non obbligare il bambino a ricopiare del materiale: ciò diminuirà il suo livello di qualità invece di migliorarlo. 2. Permettere al bambino di utilizzare gli appunti dei compagni o dell’insegnante. 3. Accettare compiti battuti a macchina, scritti al computer o registrati.

Non pretendere sempre alti livelli di qualità nella scrittura dei compiti ma solo nelle parti più importanti dove è indispensabile la chiarezza.
1. Colorare, evidenziare, sottolineare quelle lettere che di solito il bambino non è capace di fare in corsivo. 2. Ridurre lo standard per una scrittura accettabile 3. Evidenziare quelle parti del lavoro particolarmente ben fatte.

ACCORGIMENTI PER MIGLIORARE LA SCARSA STIMA DI SÈ

In generale riconoscere le capacità e gli sforzi del bambino. 1. Richiamare l’attenzione sulle capacità del bambino creando, ogni giorno oppure ogni settimana, dei momenti in cui lui o lei possano mostrare i loro talenti. 2. Riconoscere che l’eccesso di attività può anche significare un aumento di energia e di produttività. 3. Riconoscere che essere un capobanda è una qualità da leader. 4. Riconoscere che l’attrazione a nuovi stimoli porta anche alla creatività.

Aumentare la soddisfazione del successo aiutando il bambino a migliorare le sue qualità. 1. Riconoscere l’entusiasmo del bambino ed usarlo per sviluppare le sue qualità. 2. Evidenziare i suoi successi e non i suoi errori.

Coinvolgere il bambino nella soluzione delle sue difficoltà. 1. Fare, insieme al bambino, un elenco dei suoi comportamenti negativi, descrivendo i momenti più difficili e decidere le strategie che possono essere adoperate per evitare guai. Questo colloquio va tenuto privatamente, con calma e con l’atteggiamento di chi cerca di risolvere dei problemi, non per colpevolizzare il bambino. 2. Fare “giochi di ruolo” con il bambino in queste situazioni per praticare comportamenti alternativi. 3. Iniziare con un solo comportamento a cambiare, tenendo una scheda apposita per registrare successi ed insuccessi. Tener conto alla fine di ogni giorno di quante volte il bambino è riuscito ad adoperare una strategia positiva. 4. Dopo il primo miglioramento, aggiungere un altro comportamento da cambiare e decidere assieme al bambino la strategia (o le strategie) che devono essere adoperate.